mercoledì 24 giugno 2015

La fatale notte del 23 giugno 1544: il sangue dei tunisini si pagava con quello degl’ischitani.

La fatale notte del 23 giugno 1544:  il sangue dei tunisini si pagava con quello degl’ischitani.
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Oggi noi Murupanesi festeggiamo il nostro Santo patrono San Giovanni Battista...ma è doveroso anche commemorare i nostri antenati,vittime della feroce e abominevole aggressione subita nel notte del lonatno 23 giugno 1544.Vorrei che oggi ci fossero meno stati/tweet e più libri di storia aperti. Ricordare è commemorare, ma soprattutto è conoscere!!!
''Era la notte della vigilia di S. Giovanbattista, la fatale notte del 23 giugno 1544
(225), quando Ariademo Barbarossa gettava con precauzione l’àncora innanzi l’isola d’Ischia, e tacitamente eseguiva
in vari punti di quelle spiagge, contemporanei sbarchi. Una ciurma di quei feroci pirati scendea
al lido occidentale verso la cala di Citara: altra era posta a terra, fra i piccoli seni del lato meridionale
nascosti dai promontori della Scannella: difesi dalle inospite spiagge de’ Maronti e dalle tetre colline
di Sant’Angelo; in modo che nella stessa ora con ben disposto piano, si assalivano la terra di Forio, il
villaggio di Panza, ed i Casali di Serrara, Fontana, Moropano, Barano, Testaccio e loro adiacenze.
Era quella una placida notte estiva, i miseri agricoltori credendosi sicuri nei loro casolari ed abituri
semichiusi, o mal barrati, sia a cagion del caldo precoce, sia della miseria, giacevano nel più profondo
sonno, perché stanchi e spossati dai diurni travagli.
I corsari taciti e guardigni, protetti dal silenzio e dalla solitudine, sorprendono i malcapitati nel sonno,
e costoro sbalorditi; anzi atterriti, non sanno, né possono far resistenza, e si fanno come agnelli sgozzare,
avvincere, tormentare.
Tutto si devasta da quella furente bordaglia avventuriera di greci-musulmani; le forosette e le contadine
sono rapite con gioia feroce; i garzoni e i montanini incatenati con rabbia: i vignaiuoli e gli
agricoltori stretti da corregge, a coppie congiunti fra loro in modo che lunga catena ne formano, e come
armenti sono gettati sulle galee: i vecchi ed i poppanti trucidati perché merce d’inutile ingombro, mentre
le fanciulle ed i giovanetti servivano per gli harem, le donne eran pei mercati d’Oriente, gli uomini
al remo ed allo staffile dell’Ottomano. I vigneti, gli arbusteti sono abbattuti e distrutti; i casolari ed i
tuguri incendiati e diroccati, i cellai e le conserve, vuotati e saccheggiate, sfondati i serbatoi, ed i fusti
del vino dopo di essersene trasportato e bevuto di quel liquore quanto più se ne poteva, per estinguere
la sete di rabbia, di lascivia, di spossamento, e d’interna arsura.
Corron, col sangue frammisto, gli avanzi di quel liquore, che costituiva la sussistenza de’ miseri isolani,
e di vino e di sangue s’inzuppa il terreno, s’imbrattano quei miscredenti.
Resi più feroci dalla lussuria e dall’ubbriachezza non lasciano una pietra, un palo, una pianta, un virgulto
all’impiedi.
La distruzione è compita, si è raccolto il bottino di uomini e di cose: quattromila sono i prigionieri
raccolti (226) oltre i trucidati, e questi quattromila sventurati di varie età, dell’uno e dell’altro sesso!
Oh! quanto sarebbe stato meglio per essi se fossero soccombuti, che andar cattivi in Barberia ed in
Costantinopoli, per sopportar l’onta, il vitupero, i stenti, le sevizie, le privazioni;.... la schiavitù!

Così si vendicava Barbarossa delle stragi che i cristiani avevano fatto dei turchi: il sangue dei tunisini
si pagava da quello degl’ischitani...

Fonte: STORIA DELL’ISOLA D’ISCHIA DESCRITTA
DA GIUSEPPE D’ASCIA  1867


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