domenica 16 marzo 2014

L'illusione finanziaria. La lezione del gesuita Gaël Giraud.

L'illusione finanziaria. La lezione del gesuita Gaël Giraud.
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Gaël Giraud, gesuita, docente di economia matematica all’Università Sorbona di Parigi, ha tenuto una interessante conferenza a Brescia, il 23 ottobre, sulla “Illusione finanziaria”, cioè sulla crisi globale e le disuguaglianze prodotte da un sistema finanziario privo di regole. L’incontro è stato promosso dalla Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura (rete c3dem), l’Accademia Cattolica di Brescia e l’Università Cattolica sede di Brescia.
Fonte: Blog CCDC-Cooperativa Cattolico-Democratica di Cultura
 

L’illusione finanziaria

Ringrazio don Giacomo Canobbio e gli organizzatori per l’invito. È una gioia e un onore per me potermi esprimere qui e discutere con voi. Vi parlerò come economista, come cittadino europeo e come gesuita.
Parlerò come Economista, perché gli argomenti che evocheremo (il crash finanziario, la deregolamentazione finanziaria, la crisi del debito pubblico) sono innanzitutto delle questioni di economia, a cui bisogna tentare di rispondere, identificando con serenità i punti problematici, senza pregiudizi politici.
Parlerò come Cittadino europeo, perché credo che l’Italia sia in una brutta situazione, come la Francia. I francesi e gli italiani avrebbero molto da guadagnare se cercassero insieme delle soluzioni all’impasse.
Parlerò come Gesuita, perché credo che il futuro dell’Europa sia in gioco: e il futuro dell’Europa non può lasciare i cristiani indifferenti.
Mi concentrerò su tre punti:
1) Dirò qualche parola sulla regolamentazione dei mercati finanziari. Essenzialmente, per dirvi che penso si sia fatto molto poco per regolamentare meglio i mercati finanziari. A tal punto che la situazione mi sembra almeno tanto pericolosa oggi quanto lo era nella primavera del 2007.
2) Accennerò brevemente alla crisi del debito pubblico, al ruolo delle politiche di austerità, e alla crisi del progetto dell’euro.
3) Infine, vi proporrò qualche riflessione personale su ciò che una tale crisi della finanza e dell’euro significa sul piano spirituale. Dal 2007 molte persone hanno chiesto una moralizzazione del capitalismo, un raddrizzamento morale, per esempio da parte dei manager delle grandi istituzioni finanziarie. Ma credo che una morale individuale, anche se indispensabile, non sia sufficiente: dobbiamo andare oltre. Giovanni Paolo II ha parlato, in un altro contesto, di “peccato strutturale”. Io oggi vorrei porre l’accento sulla struttura di peccato che soggiace alla maniera in cui organizziamo il nostro rapporto con la moneta ed il credito.
1. A che punto siamo per quanto riguarda la regolamentazione finanziaria?
Bisogna distinguere due ambiti, distinti ma correlati: la regolamentazione dei mercati finanziari e i loro prodotti, da una parte; e la regolamentazione del settore bancario, dall’altra. Vediamoli uno alla volta.
   
1.1 I mercati finanziari sono ancora troppo poco regolamentati
Bisogna innanzitutto ripetere quanto la finanza senza regole si sia negli ultimi trent’anni allontanata dalla sua funzione originaria, che è quella di fornire liquidità e protezione all’economia reale.
I prodotti derivati (swaps, options, etc.), sviluppati negli anni Settanta, erano inizialmente destinati a proteggere gli industriali contro i rischi ben definiti (il rischio del cambio, del tasso d’interesse), ma sono stati utilizzati e sviluppati a fini di pura speculazione. Non conosco nessuna dimostrazione teorica convincente dell’efficacia dei mercati. Anche la teoria più favorevole ai mercati, quella dell’equilibrio economico generale, dice che i mercati sono quasi sempre inefficaci, e sottomessi a delle anticipazioni auto-realizzanti, che possono essere completamente sconnesse dalla realtà. In tali condizioni non è possibile pretendere onestamente che la speculazione sia un male a fine di un bene più grande: non abbiamo nessuna prova teorica del fatto che la speculazione favorisca una migliore allocazione del rischio e del capitale. Al contrario, abbiamo molte prove empiriche del fatto che essa tende a provocare un crash finanziario ogni quattro anni in media.
Gli hedge found, apparsi agli inizi degli anni Novanta, dovevano proteggere gli investitori contro le fluttuazioni del mercato. Sono diventati invece fondi ad altissimo rischio, che evitano ogni regolamentazione e che, sebbene molto colpiti dal crash del 2007/2009, sono ridiventati, oggi, dei giganti finanziari. Il fatto che possano lavorare nell’ombra (quello che oggi si chiama lo shadow banking) li rende particolarmente pericolosi perché le autorità di supervisione e di regolamentazione hanno troppo poche informazioni sui loro movimenti.
Nel 2009, le banche hanno cercato di difendersi dalle accuse del grande pubblico, dicendo: “Non gettate su di noi la colpa: noi siamo fortemente regolamentati. Il vero casinò finanziario non sono le banche, ma gli hedge found.” Ed è vero. Ma i banchieri hanno spesso dimenticato di aggiungere che esistono stretti legami tra traders degli uffici titoli di una banca e quelli che operano negli hedge founds. D’altro canto, questi fondi di speculazione riescono a lanciarsi in operazioni con un forte effetto leva, solo perché possono prendere a prestito considerevoli somme dai loro colleghi rimasti nelle banche. Il che vuol dire che la “finanza ombra” non esisterebbe senza la complicità attiva della finanza che lavora alla luce.
Oggi, lo shadow banking rappresenta ancora più della metà delle transazioni negli Stati Uniti, e più di un terzo in Europa. E nulla è stato realmente fatto per regolamentarlo.
Gli operatori finanziari sono stati autorizzati nel corso degli anni Novanta a operare anche sui mercati delle materie prime. La banca d’affari Goldman Sachs ha esercitato una lobby molto forte sull’amministrazione americana per ottenere il diritto di accedere a un mercato che, fino ad allora, era riservato ai soli professionisti delle materie prime (imprese petrolifere e del gas, società agricole , ecc.). Oggi gli operatori finanziari hanno letteralmente preso il controllo dei mercati delle materie prime. Il prezzo del petrolio o del riso non è più determinato dall’offerta e dalla domanda di petrolio o di riso, ma dai movimenti di capitali sui mercati di derivati finanziari sul petrolio o il riso. I derivati sul petrolio pesano trenta volte più che il mercato di petrolio fisico. E quando una banca come Goldman Sachs interviene sul mercato dei futures sul riso, non è per lottare contro la carestia, ma per speculare. L’autorizzazione data alle banche per intervenire su questi mercati è nata dall’idea che queste banche potessero portare della liquidità ai mercati di materie prime. A mio parere si tratta di un’illusione: gli speculatori non garantiscono mai veramente la liquidità di un mercato. In effetti, scambiano sul mercato solo finché va tutto bene. Appena iniziano i problemi, questi speculatori si ritirano molto velocemente per evitare di avere delle perdite. Il mercato allora rimane senza liquidità e i danni sono molto importanti. Si potrebbe dire che, se la speculazione ha come scopo di proteggerci dal rischio, dovrebbe essere come un ombrello che ci protegge dalla pioggia. Strano ombrello però, perché si apre solo se c’è bel tempo…
La vera garanzia di liquidità sui mercati sono le banche centrali, e l’abbiamo potuto verificare, quando è avvenuta la crisi del 2007.
Anche Papa Benedetto Sedicesimo ha protestato giustamente contro il controllo delle banche sul prezzo delle materie prime agricole. Troppe persone su questo pianeta possono morire di fame per colpa di un aumento del prezzo del riso o del grano, perché lasciamo determinare il prezzo dalle strategie di gruppo di persone troppo piccolo, essenzialmente nella City e a Manhattan.
Le norme contabili internazionali che l’Europa ha adottato nel 2005 sono una vera catastrofe, perché obbligano le società quotate in borsa a valorizzare nel loro bilancio il più grande numero possibile di attivi al loro valore di mercato. Ciò significa che la contabilità ormai permette di iscrivere a bilancio delle imprese (soprattutto le banche) le bolle speculative che vi si formano in permanenza. Sono state le banche tedesche a battersi per dieci anni dal 1995 al 2005, per imporre queste norme calamitose. I Tedeschi purtroppo hanno vinto questa battaglia. Il risultato più importante è che è ormai possibile per una banca iscrivere nel suo bilancio un profitto che non ha ancora realizzato ma che anticipa (o che il mercato anticipa). Ciò contraddice il vecchio principio di prudenza contabile di iscrivere le perdite anticipate, ma mai i guadagni anticipati. Solo i guadagni realizzati effettivamente sono iscritti nel bilancio. Il fatto di poter ormai iscrivere a bilancio i guadagni futuri permette di gonfiare artificialmente i bilanci delle banche, quando le cose vanno bene. Inversamente quando le cose vanno male, questo affonda le banche. Del resto, è questa la ragione per la quale le banche stesse hanno chiesto, alla fine del 2008, di poter beneficiare di una modifica delle norme contabili. Questa modifica ha permesso alle banche di cancellare come per magia una parte delle perdite causate dalle attività tossiche subprime. Molti imprenditori industriali sarebbero felici di poter manipolare la propria contabilità per ridurre le perdite… Credo che sia davvero giunto il momento di riscrivere le norme contabili internazionali, e su questo terreno fondamentale non è stato fatto ancora nulla.
1.2 Regolamentare il settore bancario
Per chiudere questa prima parte, una parola sul tema della separazione delle banche tra banche di deposito e banche di investimento. Perché separare i due tipi di attività bancaria? Credo che ci sia una buona ragione per farlo, perché le banche miste beneficiano implicitamente della garanzia pubblica che protegge i depositi bancari.
Dato che lo Stato (cioè alla fine il cittadino che paga le tasse) garantisce i depositi, anche il dipartimento che si occupa dell’attività di banca di investimento beneficia di una garanzia pubblica. Questo immediatamente garantisce di poter ottenere prestiti sui mercati a tassi inferiori, per poi reinvestirli a tassi più alti. Questo piccolo “trucco” porta diverse decine di miliardi di euro di guadagni alle banche ogni anno. Da uno studio della New Economics Foundation, ha per esempio portato quaranta miliardi di guadagni supplementari alle banche francesi soltanto nel 2010.
Se si dividono le attività bancarie, le banche di investimento non godranno più della garanzia implicita dello stato. Immediatamente, saranno obbligate a pagare tassi di interesse che riflettano veramente la loro situazione finanziaria. Evidentemente questo obbligherà le banche di investimento ad essere più prudenti, e ciò non può che essere benefico per tutti. Allo stesso tempo, in questo modo lo Stato avrà più margini di manovra in caso di fallimento di una banca. Al giorno d’oggi per esempio, lo Stato francese non può assolutamente permettersi di lasciare fallire una delle sue quattro grandi banche miste. Il bilancio di BNP-PARISBAS è superiore al PIL francese!
Se si separano le attività bancarie, si obbligano le banche ad essere più prudenti e si riduce la loro taglia. Entrambe queste cose avrebbero l’effetto di limitare la minaccia che incombe sui contribuenti francesi ed europei. Il rapporto Liikanen, redatto su domanda delle autorità europee, rappresenta un promettente passo avanti. Non propone il ritorno a una separazione completa, ma chiede che le attività più rischiose della banca vengano separate da tutte le altre. Peccato però che la Francia e la Germania si siano mosse in anticipo: sia l’una che l’altra hanno approvato a tappe forzate la propria legge bancaria. Ebbene, sia la legge francese che quella tedesca non separano affatto le attività bancarie: al massimo una percentuale pari all’1,5% delle loro attività verranno separate. E perché la Francia e la Germania hanno così accelerato i tempi, quando bastava aspettare il lavoro della Comunità europea? Perché in Francia i deputati hanno avuto soltanto quarantotto ore per discutere di un tema così complicato, quando per esempio il parlamento inglese si è dato un intero anno? Credo che la ragione sia che in Francia c’è stato un solo fallimento bancario del 2008, quello di DEXIA, ed è costato solo dodici miliardi ai contribuenti francesi e belgi. Gli inglesi hanno dovuto pagare molto di più per salvare NORTHERN ROCK e evidentemente non hanno alcun desiderio che la cosa si possa ripetere in futuro, mentre in Francia le banche hanno ancora un’influenza molto rilevante sul potere politico.
Conclusioni: il G20 di Londra nell’aprile del 2009 aveva dato l’impressione che ci fosse da parte dei dirigenti dei paesi industrializzati una forte determinazione politica a rafforzare la regolamentazione dei mercati finanziari. Da allora è stato fatto poco. Negli Stati uniti la legge DODD-FRANCK è entrata in vigore nel 2010, ma il testo è di più di duemila pagine! Sarà difficile riuscire veramente ad applicarla e in ogni caso la legge permette di non separare le attività speculative dalle altre attività bancarie. In Europa, il commissario europeo BARNIER ha preso alcune lodevoli iniziative, come per esempio quelle analizzate nel rapporto Liikanen, ma poche di queste iniziative si sono per ora concretizzate.
2. La crisi della zona euro
In questo periodo l’Italia si trova in grandi difficoltà a causa delle misure di austerità che Bruxelles, Parigi e Berlino tentano di imporre al suo governo. Il debito pubblico italiano è considerato eccessivamente elevato. Sicuramente si tratta di un debito molto pesante, ancora più grande del debito pubblico francese, ma io credo che non sia questo il principale problema oggi. In Europa il settore finanziario è molto più indebitato che il settore pubblico e il principale problema economico della zona euro è la crescente divergenza tra paesi del sud che si deindustrializzano a grande velocità e paesi del nord che conservano intatta la loro struttura industriale. Se si sommano gli effetti di un settore finanziario che accumula debiti giganteschi, e di una zona euro che favorisce la divergenza industriale, si ottiene quello che noi vediamo: dei paesi del sud la cui bilancia commerciale in deficit riflette in maniera esatta i surplus commerciali dei paesi del nord; dei paesi del sud dove in alcuni casi il settore finanziario è imploso (come per esempio in Spagna) e dove i debiti pubblici sono esplosi proprio perché si è creduto necessario intervenire per salvare il settore finanziario.
Non possiamo certo sostenere che le persone siano meno lavoratrici, o meno efficienti o meno intelligenti nei paesi del sud che in quelli del nord. Semplicemente nei paesi del sud ci siamo rifiutati, fin dalla creazione della zona euro, di praticare le politiche di deflazione salariale, che invece i dirigenti politici tedeschi sono riusciti ad imporre ai loro concittadini di classe media. Ecco a mio avviso la ragione per la quale l’industriale francese è affascinato dall’industriale tedesco: quest’ultimo è riuscito ad imporre ai lavoratori dei sacrifici che i francesi rifiutano. Chi ha ragione? Credo che nessuno abbia ragione. La strategia tedesca non può certamente essere esportata a tutta l’Europa, se non vogliamo correre il rischio di entrare tutti insieme in una fase di recessione deflattiva. Eppure è proprio questo che si cerca di imporre con i piani di aggiustamento strutturale. Dato che, con l’entrata nella zona euro, la strada della svalutazione monetaria non è più praticabile, non resta, in apparenza, che una sola via per recuperare competitività, cioè la svalutazione interna che poi vuol dire abbassamento dei costi di produzione, e cioè riduzione dei salari. Questa politica, però, non ha funzionato in Grecia né in Portogallo né in Spagna e non vedo alcuna ragione perché possa funzionare in Italia o in Francia. Bisogna ricordarsi che i salari sono una componente importante del PIL. Se si abbassano i salari, automaticamente si abbassa il PIL! Perché il rapporto debito-PIL possa malgrado tutto diminuire, è allora necessaria una riduzione gigantesca del debito pubblico per poter compensare la caduta del PIL. Ma se si abbassano i salari, si provoca una depressione in tutto il sistema economico: le famiglie riducono gli acquisti, le imprese riducono la produzione, e alla fine il PIL continua a scendere! Risultato: il rapporto debito-PIL continua a salire! C’è un solo parametro che può veramente migliorare grazie alla svalutazione interna, la bilancia commerciale: se tutti consumano di meno, è chiaro che le importazioni diminuiranno. Ma, non è certo questa una soluzione durevole ai disequilibri commerciali tra paesi europei. Infatti, se la recessione continua, anche le esportazioni dovranno diminuire e il disequilibrio riapparirà. In poche parole, non è la deflazione salariale che permetterà magicamente alla Grecia di diventare un paese industrializzato come la Germania. La Grecia oggi produce turismo e trasporto marittimo. Per creare altre industrie, ci vorrebbero capitali pronti ad investimenti di lungo periodo. Abbiamo visto che le regole della finanza non favoriscono in alcun modo investimenti di questo tipo.
A mio avviso, non ci sono che due modi per uscire in maniera ragionevole dall’impasse nella quale siamo finiti: il federalismo europeo o una ridefinizione della zona euro. Il federalismo europeo sarebbe certamente la soluzione preferibile, come sostenuto anche dai vescovi europei nella loro dichiarazione del 2012. Temo purtroppo che sia sempre più difficile realizzarlo. Ridefinire la zona euro potrebbe voler dire sostituire l’euro come moneta unica con un euro moneta comune. Si tratterebbe di mantenere l’euro come moneta di scambio con i paesi esterni alla zona euro, ma all’interno permettere a ciascun paese di utilizzare degli euro nazionali. Ci sarebbero euro-lire, euro-franchi ed euro-marchi. Questa soluzione è attraente dal punto di vista teorico ma onestamente non credo che abbia un avvenire politico, almeno fino a quando il problema del debito pubblico resterà l’ossessione principale dei nostri politici.
3. Quali risorse spirituali possono offrire i cristiani di fronte alle derive del capitalismo?
3.1 All’origine: un dono senza debito
C’è a mio parere qualche cosa di perverso quando si distrugge un paese come stiamo facendo oggi in Grecia, perché non può rimborsare il suo debito pubblico. Certo, la Grecia ha truccato i suoi conti nel 2001, quando voleva dimostrare di soddisfare i criteri di Maastricht. Ma anche in Francia si sono abbelliti i conti pubblici e certamente anche in Italia 1996. Certo, le banche francesi e tedesche hanno prestato molti soldi alla Grecia tra il 2001 e 2010, ma su ogni prestito hanno sempre ottenuto un premio che remunerava proprio il rischio che correvano. Non è come se scoprissero oggi la fragilità della Grecia, la conoscevano perfettamente e hanno comunque scelto di correre il rischio. Non è sicuramente solo ai Greci che dobbiamo fare pagare i costi di questi gravi errori di gestione. E poi, per cosa sono stati utilizzati i soldi prestati alla Grecia? Per pagare le imprese tedesche, per esempio SIEMENS che ha costruito la metropolitana ad Atene o per comprare armi francesi. Proprio in questi anni la Grecia è diventata il terzo cliente della Francia per quanto riguarda gli armamenti!
E oggi duecento mila persone hanno abbandonato la città di Atene. La giovane generazione di diplomati scappa da un paese dove crede, in parte purtroppo a giusto titolo, di non poter avere nessun avvenire.
Di fronte a questa situazione assurda molte persone nei paesi del Nord si nascondono dietro un facile moralismo: quando si ha un debito, bisogna pagarlo. È interessante che i Paesi, che con più forza difendono questo punto di vista, siano quelli di cultura protestante. Certamente in maniera inconscia riflettono il legame che esiste in tedesco tra Schuld (peccato) e Schulden (debiti). Bisogna che i paesi del Sud redimano i loro peccati.
Di fronte a questa distorsione, che vorrebbe che il rimborso dei debiti prevalesse addirittura sulla vita, la Bibbia risponde, dall’origine, con un dono inaudito: la Creazione dal nulla. Il Dio biblico, consegnando la creazione agli uomini, non lascia loro alcun debito in eredità. Questa creazione, questo dono, sono gratis, senza condizioni.
Se la vita vale più dei debiti, è perché il fondamento del vivere insieme non è assimilabile ad una relazione contrattuale di debito come vorrebbe Nietzsche: è invece una alleanza dove il primo termine, la prima parola, è il ricordo di un gesto gratuito di creazione e di liberazione, senza contropartite e senza debiti impliciti: “io sono colui che ti ha fatto uscire dall’Egitto” (Esodo 20, 2). Allo stesso modo la base del vivere insieme in un’impresa non può essere semplicemente un rapporto di debito tra lavoratori, azionisti e obbligazionisti, ma un’avventura comune costruita su un’alleanza tra tutte le parti in gioco.
Che cosa c’è di strano se Gesù, nel Vangelo di Luca, 16,1-13, elogia quel servo abile che, però, si attribuisce il diritto di annullare una parte dei crediti del suo padrone? Lo fa, ci dice Gesù, per procurarsi degli amici nei giorni della disgrazia, in altre parole lo fa per conservare dei legami di amicizia. E che cosa c’è di strano se il Levitico vieta il prestito a interesse tra fratelli del popolo eletto e prescrive la remissione dei debiti nel Giubileo (Levitico 25, 8-55) ? Proprio nell’annuncio del Giubileo, Giovanni Paolo II vedeva, nell’enciclica “Tertio Millenio Adveniente”, la prefigurazione della dottrina sociale della Chiesa.
La Chiesa, fin dai primi tempi, ha sempre vietato il prestito ad usura.
E non l’ha fatto in un semplice contesto disciplinare, ma in occasione del grande concilio cristologico di Nicea (325), che vietava ai religiosi il prestito con interesse. Poi, durante il concilio del Laterano (1225) che, seguendo la lezione di San Tommaso, proibiva interessi che andassero al di là di una giusta remunerazione per il rischio. Infine, durante il concilio di Trevi (1227) che vietava la remunerazione dei depositi. Questi interventi ripetuti, e in sedi così autorevoli, dimostrano l’importanza che ha sempre rivestito per la Chiesa la questione dei debiti.
In effetti, se pensiamo che la questione del debito è, insieme alla guerra, la più grande minaccia che pesa sui legami sociali (cioè sull’amicizia tra persone), si capisce perché abbia effettivamente senso interdire il prestito ad usura, proprio nel momento in cui si pongono le basi della dogmatica cristiana. La sorgente del legame sociale, la sua segreta rigenerazione, non è forse di natura teologica? Non dovremmo forse cercarla in quel Luogo senza volto che è lo Spirito di Cristo (Ch.Theobald, in “Monotheisme et Trinité”)?
Nell’enciclica “Vix Pervenit” (1745), Benedetto XIV rammentava alla Chiesa d’Italia che il prestito ad interesse non è permesso, quando si tratta di prestito al consumo, che non crea nulla che possa creare un sovrappiù. Da allora, il prestito ad interesse è stato tollerato, ma nulla di più. In altre parole, il divieto stabilito a Nicea non è mai stato rimesso in causa. E come potrebbe? Certo si sono precisati dei casi di possibili eccezioni, ma la posizione fondamentale è rimasta la stessa nei secoli: l’amore e la vita devono prevalere sulle regole contabili.
3.2 Le banche ed il sacro
Il mestiere delle banche consiste, in larga misura, nel creare moneta dal nulla. Con le regole in vigore oggi, ogni volta che la banca accorda un prestito, la moneta prestata è per il 90% creata dal nulla, inesistente fino ad un attimo prima. Se è così, la maggior parte dei debiti che dovrebbero giustificare le sofferenze imposte ai popoli del sud Europa non corrisponde a denaro guadagnato con il sudore della fronte dai lavoratori dell’Europa del Nord. Corrisponde, in primo luogo, a qualche linea di codice su un computer. Questo particolare, ignorato nella discussione pubblica, non rende soltanto inaccettabile la distruzione della società greca (e forse tra poco portoghese, spagnola, italiana). Rivela anche una somiglianza apparente tra il lavoro del banchiere e l’azione divina. Creare moneta è come irrigare di sangue il corpo sociale, permettendo al sistema economico di funzionare. Il sangue dona la vita.
Ecco perché il Presidente di Goldman Sachs, Lloyd Blankfein, si è potuto permettere di rispondere ad un giornalista dicendo che “si accontentava di fare il lavoro di Dio”.
Ma quale Dio? Un dio malvagio che condanna a morte i suoi figli per costringerli a ripagare i debiti?
Davvero oggi i mercati sembrano avere alcune caratteristiche delle antiche divinità: bisogna sacrificare a queste divinità i servizi pubblici, le pensioni, i sussidi di disoccupazione, i sistemi di assicurazione sociale, tutto per “placare la loro ira”. E solo due categorie di interlocutori sono autorizzati a superare il limite che separa i laici dai mercati: la banche, le quali ricoprono il ruolo che un tempo aveva la tribù di Levi, ed il banchiere centrale, che assume sempre più l’atteggiamento del Gran Sacerdote.
Divinità invero misteriose…: chi, nell’opinione pubblica, ha capito che i piani di salvataggio per la Grecia, la Spagna, il Portogallo, Cipro, sono prima di tutto piani per salvare le banche francesi e tedesche? I popoli di questi Paesi avrebbero accettato i sacrifici, se avessero davvero capito a chi erano destinati i soldi che ricevevano in prestito dall’Europa o dal Fondo Monetario Internazionale? La gran parte del denaro prestato dalla Troika in cambio di pesanti piani di aggiustamenti strutturali è tornato immediatamente nei bilanci delle nostre banche.
È dunque molto preciso quello che afferma l’enciclica “Quadragesimo anno” pubblicata il 15 maggio 1931 da papa Pio XI, quando stigmatiza la finanza senza regole parlando di dittatura economica ed utilizzando la metafora del sangue monetario che irrora il corpo sociale, con parole che potrebbero essere state scritte nel 2013:
105. E in primo luogo ciò che ferisce gli occhi è che ai nostri tempi non vi è solo concentrazione della ricchezza, ma l’accumularsi altresì di una potenza enorme, di una dispotica padronanza dell’economia in mano di pochi, e questi sovente neppure proprietari, ma solo depositari e amministratori del capitale, di cui essi però dispongono a loro grado e piacimento.
106. Questo potere diviene più che mai dispotico in quelli che, tenendo in pugno il danaro, la fanno da padroni; onde sono in qualche modo i distributori del sangue stesso, di cui vive l’organismo economico, e hanno in mano, per così dire, l’anima dell’economia, sicché nessuno, contro la loro volontà, potrebbe nemmeno respirare.
107. Una tale concentrazione di forze e di potere, che è quasi la nota specifica della economia contemporanea, è il frutto naturale di quella sfrenata libertà di concorrenza che lascia sopravvivere solo i più forti, cioè, spesso i più violenti nella lotta e i meno curanti della coscienza.
Forte della sua scelta profetica di non lasciarsi affascinare dagli idoli, la Chiesa e in particolare il Consiglio pontificio Giustizia e Pace ha chiesto nell’autunno del 2011 alcune riforme strutturali del sistema finanziario precise ed esigenti: l’imposizione di una tassa sulle transazioni finanziarie, la separazione dell’attività bancaria, la ricapitalizzazione sotto condizione delle banche. Si può dire che, ad un anno di distanza, nessuna di queste tre domande ha avuto una risposta concreta.
3.3 Il credito: dal sacro alla santità
Certamente il ruolo vitale giocato dal settore bancario nell’economia favorisce il fatto che le nostre società tendano a situarlo nel luogo allo stesso tempo affascinante e impossibile del sacro. Tentazione, questa della sacralizzazione, che nasce ben prima del processo di deregolamentazione della finanza. Il grande racconto biblico la situa molto presto nel processo di costituzione del legame sociale: non appena il popolo ebreo comincia a formarsi ed esce dall’Egitto si parla di una frontiera che separa il Monte Sinai, là dove Jahvè si mostra, dal resto del popolo. Chiunque tenterà di varcare questa frontiera sarà punito con la morte, tranne coloro (Mosè e Aronne) che godono di uno speciale privilegio. Tutta la Bibbia è permeata da questa immagine del sacro.
Gesù però attraversa questa frontiera: “ non vi chiamo più servi, ma amici” (Giovanni XV,15). E nell’ultimo libro del Nuovo Testamento, l’Apocalisse, si indica il destino escatologico di questa trasgressione fondamentale. Nel terzo capitolo dell’Apocalisse si parla forse di un invito, rivolto a tutti, a venire a sedersi ai piedi dell’agnello, sul trono del Padre. Se l’esperienza cristiana può essere vista come liberazione dal sacro, che cosa ci può insegnare sul rapporto con il denaro?
Il denaro ha due aspetti: da un lato permette di scambiare beni e servizi che già esistono e questo è il lato rivolto al passato, che misura, quantifica, valuta, fornisce regole di equivalenza e produce misure di impatto… l’altro aspetto della moneta invece è quello rivolto al futuro, come una promessa, ed è il lato del credito.
Lo abbiamo già detto, l’attività bancaria consiste in gran parte nella creazione di moneta. Un potere taumaturgico che è limitato soltanto dalla capacità di chi prende a prestito nel trasformare il segno monetario in ricchezza effettiva. È quello che cerca di verificare, a suo rischio e pericolo, ogni banchiere che fa bene il suo mestiere, quando si accerta che chi prende a prestito sia solvibile. Se così non è, infatti, nessuna attività reale corrisponderà mai, né oggi né domani, alla creazione monetaria messa in opera dal banchiere. La moneta creata senza una controparte reale si trova allora condannata a mostrare soltanto il suo primo aspetto: quello di strumento di valutazione del passato. In questo caso la creazione monetaria diventa inflazionistica: la quantità di segnali monetari destinati a valorizzare le attività reali aumenta, ma le attività reali restano le stesse. È quello che è successo nel XVI secolo, quando si riportavano in Europa l’oro e l’argento scoperti in America.
Chi presta denaro entra così in un rapporto di alleanza con chi chiede a prestito, e lo fa perché crede in un avvenire comune. I due si trovano ad essere solidali nei rischi che circondano il processo di creazione di ricchezza, reso possibile dalla creazione monetaria. È un gesto di credito in senso proprio: in caso di mala sorte, il prestatore non è legittimato a sacrificare l’alleanza, il legame di amicizia che lo unisce al debitore. È in questo atto di fede che lega creditore e debitore che si realizza il processo di creazione.
Nella parabola dei talenti, il Signore è rappresentato quasi con i tratti del banchiere centrale. Crea i talenti dal nulla e li dà in prestito. Il terzo servitore, convinto che il banchiere centrale sia un uomo severo, non se ne fa nulla: il denaro resta solo rivolto al passato, non produce nulla. I primi due invece trasformano i talenti in ricchezza reale: la creazione monetaria produce un nuovo giorno.
La transizione ecologica
La possibilità di una vera alleanza tra chi finanza una banca e chi ci lavora richiede che i finanziatori siano fortemente coinvolti nel progetto industriale della banca. Questo non può succedere se i finanziatori sono dei semplici creditori, che aspettano un tasso di rendimento nominale indipendente dalla congiuntura economica. Ecco perché, per ragioni sia spirituali sia economiche, io credo che sia molto importante valorizzare i fondi propri delle imprese e in particolare delle banche. Sono il capitale e l’adesione al progetto industriale a fondare il rapporto di fiducia tra l’investitore e l’impresa. E lo stesso vale a livello di un intero paese. Il capitale fisico ed umano di un paese e il suo progetto per il futuro sono infinitamente più preziosi del suo debito.
Ma qual è oggi il progetto politico dei paesi europei? Io credo che l’Europa viva una specie di blocco escatologico da più di quarant’anni: dopo il grande sforzo della ricostruzione alla fine della seconda guerra mondiale sembra quasi non avere più un progetto. Quale tipo di progetto politico possiamo proporre ai nostri figli che sia in grado di motivarli ad alzarsi presto la mattina, ad andare a scuola, a lavorare con impegno? E se pensiamo alla nostra Chiesa: qual è il grande orizzonte che noi come cristiani possiamo proporre che dia un senso alla storia e al nostro impegno per il ventunesimo secolo?
Credo che questo progetto, questo grande racconto, sia la transizione ecologica, cioè il passaggio da una economia ereditata dalla Rivoluzione industriale, grande consumatrice di energia fossile, verso una economia “pulita”, meno inquinante, più rispettosa della natura. Questo lavoro ci può tenere occupati durante i prossimi settanta anni. Un progetto di questo genere può creare molti nuovi posti di lavoro (almeno cinque milioni nell’insieme della zona euro). Ma soprattutto può dare un senso storico all’impegno di una intera generazione: quello di portare a buon fine questa transizione.
Quale è il capitale di un paese? È il suo patrimonio. Per esempio quello dell’Italia è enorme, vale circa sette volte il suo prodotto interno lordo. Questo ci dice che una imposta sul capitale può risolvere il problema del debito pubblico. Visto in questa ottica, quello del debito pubblico non è il vero problema dell’economia italiana. Il vero problema, il grave fallimento della zona euro, è l’assenza di un progetto politico. La transizione ecologica può essere, se noi lo vogliamo, il grande progetto in grado di dare respiro alla costruzione europea. Ma perché questo progetto si possa realizzare, è indispensabile che ci si muova in maniera efficace nella direzione di una maggiore regolamentazione dei mercati finanziari.
Fino a che una finanza senza regole permette dei rendimenti del 15% all’anno, il risparmio non potrà essere incanalato verso un progetto di industrializzazione verde, che offre rendimenti solo su periodi più lunghi. Il risparmio dei cittadini, così abbondante in Europa, resterà prigioniero del casinò internazionale della finanza. Tocca quindi a noi, in Europa, nella società civile, nelle nostre chiese, costruire l’opinione pubblica, che può spingere i politici a prendere le misure necessarie per regolamentare la finanza. Questo mi sembra un modo, qui ed ora, per riappropriarsi della dimensione collettiva dell’esigenza etica.
“Vedi qualche cosa, Geremia?” domanda il Signore al profeta. Come Geremia noi possiamo rispondere che vediamo gli eserciti che si avventano sul regno per distruggerlo. Questo è ciò che ci minaccia, se ci sottomettiamo alla logica di una finanza mortifera. Ma, come Geremia, noi possiamo anche rispondere “vedo il mandorlo in fiore”. Nel cuore dell’inverno, la speranza della primavera, della terra promessa. Questa speranza è già tra noi, a noi tocca farla crescere.
Brescia, 23 ottobre 2013 Gael Giraud sj
Fonte:http://www.dongiorgio.it/15/03/2014/lillusione-finanziaria-la-lezione-del-gesuita/


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