martedì 21 gennaio 2014

Il proporzionale e gli alchimisti.

 Il proporzionale e gli alchimisti.

 
Luciano Canfora :
lettera all’Unità, 17 gennaio 2014
Il proporzionale e gli alchimisti
  Caro Direttore,
ora che la Consulta ha depositato le motivazioni della sentenza ed il «premio di maggioranza» è stato archiviato come «incostituzionale», le conseguenze di questo passaggio d’epoca che chiude il ventennio «maggioritario» meritano di essere messe in chiaro.
1) Ormai la legge elettorale c’è; è falso che sia urgente inventarne una, quasi a colmare un vuoto. Non c’è un vuoto legislativo. In forza della sentenza, perfezionata a tutti gli effetti con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, è attualmente in vigore un sistema proporzionale con sbarramento al 4%.
Infatti lo sbarramento attualmente vigente non era compreso nella materia sottoposta al vaglio della Corte: e dunque resta in piedi.
2) È deplorevole che questo specifico dato venga nascosto ai cittadini dai mezzi di comunicazione. Se lo si scrivesse a chiare lettere, i cittadini si chiederebbero che senso abbia l’attuale frenesia alla ricerca di una legge elettorale visto che non solo ce n’è già una, ma c’è anche l’agognato «sbarramento» atto a tranquillizzare chi finge di preoccuparsi della «frantumazione» partitica additata di norma (in discreta malafede) come patologia tipica proporzionale. Frantumazione non ci può dunque essere perché comunque è in vigore lo «sbarramento» al 4%.
Dunque cosa vogliono? Vogliono una legge che consenta ad una maggioranza relativa di diventare, in sede parlamentare, maggioranza assoluta: nel che risiedeva il nucleo fondamentale della legge Acerbo voluta da Mussolini nel 1923 e messa in atto alle elezioni mortifere del 1924. Veicolo di tale miracolo (una minoranza di elettori che produce una maggioranza di eletti) è il famigerato «premio di maggioranza». Per lo meno, la improvvida «legge truffa», bocciata dagli elettori il 7 giugno del 1953, dava il «premio» alla lista (o coalizione) che avesse superato, sia pure di un solo voto, il 50% dei suffragi!
Fingere che si debba escogitare una nuova legge elettorale perché in questo momento ne siamo privi è anche un sopruso: è quasi circonvenzione, come di incapaci, della gran parte dei cittadini-elettori. Il ruolo di stampa, radio, tv può risultare di vera e consapevole complicità.
L’argomento che si ode più spesso ripetere al fine di esorcizzare la legge elettorale proporzionale (con sbarramento) attualmente vigente è che si avrebbe daccapo un Parlamento ingovernabile dato l’arroccamento semi-aventiniano e fatuamente sterile dei «cinquestellanti». Ma già oggi, con un Parlamento eletto con un sistema ultramaggioritario («Porcellum»), il risultato è uguale: l’impossibilità di dar vita ad una maggioranza politica definibile come tale! Dunque si dovrebbe inventare addirittura qualcosa di più mostruoso, di più aberrante del «Porcellum», per superare una siffatta difficoltà.
Essa è dovuta alla scelta di un partito (al quale si accredita un terzo dell’elettorato) di tirarsi fuori da ogni alleanza: tecnica adoperata già dal movimento hitleriano negli ultimi anni di Weimar. Ma una tale scelta non la si sconfigge a colpi di trucchi elettorali, bensì politicamente. Se si è capaci di ciò. E invece su questo terreno per ora nessuno seriamente si cimenta.
Bisogna dunque smetterla di escogitare leggi elettorali più o meno alchemiche fondate sul presupposto seguente: siccome prevedo il risultato, devo provvedere a truccarlo!
Luciano Canfora: Difendo il proporzionale, il maggioritario è fallito (lettera a l'Unità)
Caro Direttore, mentre si escogitano i più stravaganti modelli di legge elettorale e si svolgono trattative più o meno occulte e trasversali per una legge che incontri il gradimento di (quasi) tutti, restano in ombra due dati di fatto macroscopici e però rigorosamente sottaciuti.
Il primo, molto sgradevole, è che - in realtà - non si cerca una legge equa che rispetti la «volontà popolare» presupposto non trascurabile della nozione stessa di suffragio universale. Ma si cerca quella legge dalla quale ciascuno dei corridori in gara immagina di trarre il maggior vantaggio a danno del concorrente. Donde l'estrema difficoltà, se non impossibilità, di trovare un accordo.
Il secondo è che, mentre si elucubra e si intrecciano ultimatum e si fissano scadenze, la legge invece c'è già. È quella che risulta vigente una volta detratti gli «additivi» di tipo maggioritario che la impeccabile sentenza della Consulta ha dichiarato illegali. Detratti gli additivi chimici, detti anche «premi di maggioranza», ciò che resta è la normativa fondata sul principio proporzionale (cioè sull'articolo 48 della Costituzione) con cui l'Italia repubblicana ha funzionato dal 1946 al 1992. Periodo storico fecondo di risultati positivi, durante il quale furono di norma rappresentati in Parlamento assai meno partiti che non nei vent'anni di «maggioritario» che abbiamo dovuto subire e da cui potremmo finalmente uscire.
 
Da 20 anni facciamo da cavie a un sistema che non ha dato né riduzione dei partiti né stabilità
 
L'esperienza di questo ventennio maggioritario ha dimostrato che il famigerato argomento che invoca la «governabilità» a sostegno del trucco maggioritario è del tutto inconsistente. Per un ventennio abbiamo fatto da cavie ad un esperimento in corpore vili: esso ha dimostrato che il maggioritario né riduce il numero di partiti presenti in Parlamento né garantisce maggior durata .ai governi.
Fallisce su entrambi i piani per i quali veniva elogiato e additato come modello e «rimedio unico ai mali». Non è difficile capire il perché di tale fallimento.
Il miraggio del «premio» di maggioranza infatti incrementa la pulsione a creare partiti sufficientemente grandi per ottenere il «premio»: partiti raffazzonati e compositi che prima o poi si sfasciano al seguito di scontri «di vertice», che, tra l'altro, nulla hanno a che fare con la volontà e i bisogni degli elettori. Partiti raffazzonati di tal genere incrementano la instabilità e approfondiscono la frattura tra società politica e corpo civico.
Un altro effetto deleterio del maggioritario è la cosiddetta corsa alla «conquista del centro» considerata la principale arma per la vittoria. Questo determina il progressivo rassomigliarsi dei partiti, specie di quelli principali. (Colpisce vedere ex «guardiani» del cavaliere di Arcore - quali ad esempio il ministro Lupi, veterano di pubblici talk-show - tramutarsi, quasi, in militanti del Pd: senza troppo sforzo perché nella sostanza le diversità si sono ridotte di molto, al netto s'intende degli scontri personalistici). Né si capirebbe come mai da oltre due anni siamo governati dall'«unione sacra» degli ex-rivali se non ci fosse per l'appunto una sostanziale concordanza sulle cosiddette «cose che contano» (concordanza che viene quotidianamente esaltata).
L'appannamento delle differenze produce il ritrarsi dalla volontà di partecipazione, già solo elettorale, alla politica da parte di un numero crescente di cittadini. L'assemblea regionale siciliana attualmente in carica così come l'attuale sindaco di Roma sono stati eletti da meno della metà degli aventi diritto al voto.
Por mente a questo fenomeno aiuta a comprendere quanto sia vano l'argomento di chi prevede risultati paralizzanti ove si andasse a votare con il sistema da pochi giorni tornato in vigore, cioè col proporzionale. È una previsione arbitraria e vagamente deterrente. Non è possibile infatti prevedere quale sarà il voto di chi finalmente potrà votare non più ricattato dall'estorsivo criterio del «voto utile».
Il ripristino del principio e dell'attuazione pratica del sistema proporzionale - il cui primo demolitore in Italia fu Mussolini con la legge Acerbo del 1923, premessa per la dittatura - potrebbe forse ancora fare a tempo ad arrestare il processo degenerativo dei partiti italiani, ridotti ormai - quale più quale meno - a galassie dai confini incerti e gravitanti intorno a leader presuntamente carismatici sull'onda dell'ingannevole ed effimero meccanismo delle primarie. È umiliante constatare come proprio al nostro Paese, per tanto tempo laboratorio politico importante, sia toccato un esito siffatto.
Luciano Canfora
[L’Unità, 19-12-2013, pp. 1-2
Fonte: http://www.unita.it/

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