domenica 17 novembre 2013

UN SAGGIO DI “VERITÁ” SULL’EUROPA E SULL’EURO Prof. Giuseppe Guarino

UN SAGGIO DI “VERITÁ” SULL’EUROPA E SULL’EURO
Prof. Giuseppe Guarino

Giuseppe Guarino, già ordinario di Diritto pubblico alla Sapienza di Roma, già ministro delle Finanze (1987) e dell’Industria (1992-’93). La tesi del professore è che all’origine della moneta unica si sia realizzato un “colpo di stato”, attraverso un preciso regolamento comunitario, il numero 1466/97. 
Approfittando della fortissima volontà dei governi del tempo di superare a tutti i costi “l’esame” – sul fronte dei conti pubblici, per esempio –  necessario a entrare nella nuova area valutaria, la Commissione fece approvare infatti un regolamento che avrebbe vincolato in maniera decisa le leve della politica economica fino ad allora in mano agli stati membri.
Il ragionamento di Guarino è lungo ma non oscuro, narrato con stile piano, a disposizione – per volontà dello stesso autore – di chi lo volesse confutare. Qualcuno potrebbe sostenere, forse non a torto, che non di soli formalismi giuridici è costituito il processo d’integrazione europea. Ciò detto, è un fatto che pezzi d’establishment guardino con ansia crescente alle prossime elezioni europee, ritenute facile terreno di caccia per “populisti” anti moneta unica. Ieri pure l’agenzia di rating Moody’s ha parlato di rischi “non trascurabili” che in Italia “i partiti anti-euro prendano il potere con un programma di uscita dall'euro”. Guarino obbliga a confrontarsi con una lettura critica ma acuta, nient’affatto dozzinale, del tipo di mentalità dominante nella storia dell’integrazione europea. A meno di non accontentarsi di vivere in un’èra in cui tutte le vacche sono populiste, buona lettura. (mvlp)
Una espressione usata anche in atti formali, compreso il molto recente cosiddetto Fiscal compact (art. 1, comma 1) è quella di “Unione economica e monetaria” (Uem). L’Unione monetaria non è stata realizzata. L’Unione economica non è stata creata. Le monete circolanti con “valore legale” nell’Unione erano tredici al 1° gennaio 1999, data del lancio. Una, l’euro, moneta comune di undici stati. La sterlina e la peseta, “monete nazionali”. Oggi le monete sono dodici, di cui una, l’euro, moneta comune, undici, monete nazionali.
L’Unione economica non è stata creata. L’Atto unico europeo (Aue) e il Trattato dell’Unione europea (Tue), che sono i due Trattati ai quali ne viene attribuito il merito, si sono limitati a creare un “mercato unico”. E’ un grande spazio economico nel quale si applicano, come dominanti, i principi della libera iniziativa privata (libertà di impresa) e della più ampia apertura. Oggi la maggior parte dei rapporti economici del globo sono retti da discipline ispirate ai medesimi principi della libera iniziativa privata, quindi della libertà di impresa, in un mercato aperto. Si è costruito a livello quasi mondiale un mercato “unico”. Nessuno lo definirebbe “Unione economica”.
Il “mercato comune” formò oggetto precipuo dell’Aue, integrato successivamente dal Tue. Il Tue ha disciplinato oggetti nuovi, in modo particolare ha dettato una disciplina generale sull’attività economica e sui bilanci degli stati, quindi implicitamente sulla moneta comune.
Alle norme che avrebbero influito sulla concretizzazione della “moneta comune” si pose mano negli ultimi mesi di discussione sul Tue. A quel punto molti capisaldi della disciplina della moneta erano stati già fissati. La moneta sarebbe stata comune non a tutti gli stati dell’Unione, ma solo a quelli che si sarebbero assoggettati alla sua specifica disciplina. La decisione scaturì dalla indisponibilità del Regno Unito a rinunciare alla sua storica moneta, la sterlina. L’Unione, senza il Regno Unito, sarebbe nata monca. Fu concessa al Regno Unito la clausola dell’“opting out”. Avrebbe potuto aderire all’euro, dimostrando di averne i requisiti, in qualsiasi momento successivo. Concessa al Regno Unito, la clausola non poté essere negata alla Danimarca. Fu concessa di fatto, in assenza di deroga formale, alla Svezia, il primo paese ad aderire all’Ue, dopo la stipula del Trattato. L’art. 109 k) ha finito per contemplare due distinte categorie di paesi membri, quelli ammessi all’euro, denominati senza deroga, e quelli che continuano ad avvalersi della propria moneta, denominati “paesi con deroga”. L’art. 109 k) indica gli articoli del Tue che si applicano ai soli paesi senza deroga.
Come il Regno Unito aveva dichiarato che non avrebbe rinunciato alla sterlina, così la Germania precisò che avrebbe aderito all’Unione e alla moneta unica solo se questa fosse risultata simile al marco. Il marco era la moneta storica della Germania.

venerdì 15 novembre 2013

SUPERCAPITALISMO=EURO=LIBERA CIRCOLAZIONE DEI CAPITALI=MERCATO SENZA REGOLE=LOBBISMO=STATI UNITI D'EUROPA=PIU' CORRUZZZZIONE ISTITUZIONALE.

SUPERCAPITALISMO=EURO=LIBERA CIRCOLAZIONE DEI CAPITALI=MERCATO SENZA REGOLE=LOBBISMO=STATI UNITI D'EUROPA=PIU'CORRUZZZZIONE ISTITUZIONALE.
 
Da tempo non riesco a guardare i nostri principali talk show dedicati all’approfondimento politico senza provare conati di vomito. A parte la Gabbia di Paragone, il resto del panorama è nella migliore delle ipotesi desolante. Programmi come Ballarò di Floris e Otto e Mezzo di Gruber, poi, non hanno nulla da invidiare all’istituto Luce di mussoliniana memoria. Banalità, pensiero unico a difesa degli interessi della tecnocrazia nazista che guida la Ue e pizzini intimidatori all’indirizzo dei non allineati dominano la scena quasi dappertutto. Fino a ieri Servizio Pubblico di Michele Santoro, a parte la teatralità del presentatore campano, risultava perfettamente aderente rispetto al tragico contesto disinformativo dilagante (clicca per leggere). D’altronde la massoneria reazionaria non avrebbe potuto disintegrare scientemente l’apparato produttivo dei Paesi che compongono l’area euro senza prima essersi assicurata il controllo totale e asfissiante dei principali mezzi di comunicazione. Da anni a questa parte è sostanzialmente vietato avanzare critiche nei confronti dell’attuale costruzione europea. Dogmi come austerità, pareggio di bilancio e privatizzazioni vanno accolti per fede, pena l’esclusione dal circuito che conta con annesso oscuramento e definitivo oblio. Improvvisamente, trascorsi anni di sciagure causate da politiche miopi e criminali, una piccola breccia sembra essersi finalmente insinuata nel sistema. Dopo la dura presa di posizione del Tesoro americano nei confronti della Germania, guarda caso, alcuni importanti giornalisti hanno improvvisamente trovato il coraggio di osare l’inosabile. Solo così si spiega lo spazio concesso ieri da Santoro in prima serata ad un efficace Alberto Bagnai, economista eterodosso che vanta eloquio forbito e buone letture. In presenza del redivivo e balbettante viceministro Stefano Fassina, meno peggio del solito (clicca per leggere), l’autore de Il Tramonto dell’Euro ha letteralmente disintegrato, dati e grafici alla mano, tutta una serie di falsi miti che da decenni obnubilano la mente degli italiani. Demoni mostruosi e inattaccabili come lo spauracchio del debito pubblico, la bontà dei vincoli europei e l’utilità dei necessari sacrifici evaporavano di fronte al lucido e pacato argomentare del professore fiorentino. Solo uno dei miti che ancora affollano maleficamente la mente degli italiani resiste ancora a dispetto della più solare evidenza: quello tendente a leggere la crisi in chiave auto-accusatoria, quale scontato e giusto risultato dei soliti mali che affiggono l’Italietta dedita allo spreco, al malaffare e alla corruzione. E’ facile quanto scorretto soggiogare le masse titillandone l’atavico istinto alla autoflagellazione, per giunta spacciato con fare sulfureo quale unica via praticabile al fine di scacciare il male sopravvenuto a causa del peccato. Su questa linea, falsa e strumentale, si posizionavano un gruppo di giovinastri fortunatamente emigrati all’estero nonché il solito Marco Travaglio in versione Savonarola. E’ bene che i cittadini comprendano con chiarezza che la macroeconomia, checché ne dicano alcuni interessati scribacchini, non è una sottobranca dell’etica. Tutti naturalmente vorremmo vivere all’interno di una società onesta e rispettosa delle regole, ma, al di là della facile retorica, la ricchezza complessiva di un Paese dipende da altri fattori. Esistono infatti società molto corrotte ma ricche, così come ne esistono altre povere ma probe. Non c’è bisogno di scomodare la favola delle api di Bernard de Mandeville per rendersene conto (clicca per leggere). Giusto per fare qualche esempio: sapete quale grande azienda multinazionale ha dovuto pagare una multa salatissima per avere ammesso di avere pagato fior di tangenti a destra e a manca? La tedesca Siemens (clicca per leggere). La banca HSBC, al centro di condotte che definire spericolate è un eufemismo (clicca per leggere), è forse il frutto avvelenato della atavica corruzione asiatica, africana o sudamericana che genera povertà ed esclusione sociale? Non mi pare. La verità è semplice ed è un’altra. I Paesi ricchi elaborano spesso al proprio interno sistemi sofisticati e complessi per accaparrarsi ingenti risorse con qualunque mezzo riuscendo quasi sempre con la forza e con l’arguzia ad aggirare il controllo di legalità; quelli poveri, invece, esprimono in genere classi dirigenti che si vendono per un piatto di lenticchie. Vi faccio un’altra domanda: se domani, in virtù di un inasprimento dei controlli fiscali, l’evasione crollasse sensibilmente, al lume del vostro intelletto l’Italia risulterebbe nel suo complesso più ricca o più povera? Io vi dico che sarebbe più povera, perché la minore ricchezza privata circolante determinerebbe un ulteriore crollo dei consumi, mentre le maggiori risorse reperite provvisoriamente dallo Stato finirebbero con l’essere utilizzate da masnadieri come Letta e Saccomanni per pagare gli interessi alla banche speculative tedesche e francesi senza che il sistema Italia possa trarne nei fatti alcun beneficio sostanziale. In pratica l’ipotetico comodino pignorato da Equitalia al pensionato insolvente con il fisco finirebbe immediatamente nella disponibilità dei soliti voraci colossi finanziari internazionali che creano e disfano le carriere politiche di figuranti mediocri ed etero-diretti come Enrico Letta. Siete ancori sicuri del fatto che la giustizia formale cammini sempre in compagnia della giustizia sociale, del buon senso e della crescita economica? Perlomeno pensateci.
Note conclusive:
1) Alla fine degli anni ’80, poco prima dello scoppio di Mani Pulite, l’Italia superava in termini economici la Gran Bretagna, diventando così la quinta potenza industriale al mondo nonostante il dilagare di tangenti e mazzette (clicca per leggere)
2) Non è vero che la spesa pubblica italiana è esorbitante. Al contrario, spiega Brancaccio, è sotto la media Ue (clicca per leggere)
3) Non è vero che la montagna del debito pubblico italiano è figlia delle politiche allegre dei partiti della prima Repubblica. Il debito italiano esplode in conseguenza della separazione tra Tesoro e Banca d’Italia avvenuta nel 1981 per volontà di Beniamino Andreatta. Decisivo passo nella direzione dell’asservimento dell’interesse pubblico nei confronti delle oligarchie finanziarie private (clicca per leggere)
Francesco Maria Toscano
15/11/2013


Alberto Bagnai Servizio Pubblico 14-11-2013

Alberto Bagnai: “Se c’è un problema e se c’è rigidità del cambio, dobbiamo abbassare i salari. Ecco perché c’è una diseguaglianza, e c’è una intera fascia di popolazione che si chiede come si può votare certi partiti che hanno portato a questa situazione sull’euro.
 “C’è un’intera fascia di popolazione che si chiede come fa a votare i partiti che hanno accettato di aderire ad un sistema monetario in cui quando c’è uno shock ricade sul mondo del lavoro”

The Brussels business: viaggio nel mondo delle lobbies