domenica 30 giugno 2013

L’illusione della privatizzazione.... «Catastroika. Le privatizzazioni che hanno ucciso la società».

L’illusione della privatizzazione....  «Catastroika. Le privatizzazioni che hanno ucciso la società».

  

 

Gli dei delle privatizzazioni

Pubblichiamo l’introduzione del nuovo libro di Marco Bersani  «Catastroika. Le privatizzazioni che hanno ucciso la società» (Edizioni Alegre), un’indagine sui diversi e sciagurati  effetti, prodotti a livello globale, dalle politiche di finanziarizzazione e privatizzazione dell’economia.
All’alba del terzo millennio, la crisi ci ha improvvisamente trasportati, senza che ce ne accorgessimo, agli albori della civiltà occidentale, nell’antica Grecia. Una società dominata dagli Dei, i quali, pur non vivendo a contatto diretto con gli uomini e le donne del tempo, ne influenzavano profondamente l’esistenza. Analogamente, nella realtà odierna nuove divinità governano il mondo e determinano i comportamenti individuali e collettivi delle persone : non hanno nomi densi di storia, nè di simbologia, si chiamano semplicemente “mercati”.
Come gli Dei dell’antica Grecia, vivono separati dalle nostre vite quotidiane, ma provano costantemente sentimenti ed emozioni, immediatamente amplificati dalla comunicazione di massa. Perché i “mercati” si entusiasmano e si incolleriscono, vanno in fibrillazione e si calmano, ed ognuno di questi stati d’animo chiama tutti noi ad una risposta adeguata. E cosa dobbiamo fare noi, donne e uomini, nei loro confronti? Sacrifici, oggi come allora, per chiederne la benevolenza o per mitigarne la collera.
Con rinnovata rassegnazione, siamo chiamati a portare all’altare di questi Dei, oscuri e inconoscibili, i diritti del lavoro, i beni comuni e le conquiste sociali; la qualità della vita e la nostra dignità. Persino la natura e il futuro. Da oltre quarant’anni ci raccontano che il mercato deve essere l’unico regolatore sociale, che la sua mano invisibile è l’unica in grado di vedere l’adeguata redistribuzione del lavoro e della ricchezza, che il suo pensiero è l’unico possibile.
Dizionario alla mano, privato è voce del verbo privare, ovvero sottrarre, impedire l’accesso o la fruizione. Eppure ci raccontano che la privatizzazione è la massima espressione della modernità, perché è libertà di scelta, opportunità di autodeterminazione.
Sono talmente sicuri della bontà della loro soluzione che non hanno esitato ad usare la violenza per poterla applicare : quella manifesta delle dittature militari o quella indiretta della manipolazione massmediatica. Soprattutto, hanno impiantato una vera e propria ‘religione’, ampiamente secolarizzata negli obiettivi concreti, ma decisamente impregnata di elementi mistici ogni qualvolta debba affrontare una contraddizione. Per oltre quarant’anni il fondamentalismo neoliberista ha potuto scorazzare per il pianeta, riuscendo a produrre il massimo della diseguaglianza sociale proprio nel momento in cui la ricchezza prodotta poteva consentire il massimo delle possibilità individuali e collettive.
Ed oggi, di fronte ai nodi sistemici di una crisi profonda del capitalismo, che è al contempo economica e finanziaria, sociale e ambientale, le soluzioni che ci vengono imposte sono le stesse che la crisi l’hanno provocata, approfondita, portata ad un punto di difficile reversibilità. Quarant’anni di esperienza rendono possibile uno studio approfondito, una verifica circostanziata, un giudizio intellettualmente scevro da sovrastrutture ideologizzate.
E’ questo il compito a cui, con umiltà e intelligenza, le pagine di questo libro tentano di contribuire, ripercorrendo i molteplici atterraggi compiuti nei diversi angoli del pianeta da parte delle grandi lobby dei capitali finanziari e delle multinazionali, ed indagando sugli effetti prodotti nell’economia e nella società.Per aiutare la comprensione di ciò che è avvenuto, per favorire la consapevolezza del momento che stiamo attraversando, per suggerire nuovi percorsi verso un futuro all’insegna della dignità.
I poteri dominanti ripetono ossessivamente che siamo alla fine della storia e che questo è l’unico mondo possibile. Noi sappiamo che si tratta semplicemente di riappropriarci di tutto ciò che ci appartiene.

giovedì 20 giugno 2013

Blaise Pascal 390 anni fa nasceva uno dei padri dell'informatica. Un uomo dedito tanto alla ricerca scientifica quanto a quella spirituale.

 



 Blaise Pascal

390 anni fa nasceva uno dei padri dell'informatica. Un uomo dedito tanto alla ricerca scientifica quanto a quella spirituale.



 
 

Il calcolatore di Pascal

390 anni fa nasceva uno dei padri dell'informatica. Un uomo dedito tanto alla ricerca scientifica quanto a quella spirituale

di Anna Lisa Bonfranceschi
Il sollevamento di un'automobile con un torchio idraulico o una semplice operazione con la calcolatrice. Oggi sono attività relativamente comuni, rese possibili grazie al genio di Blaise Pascal (1623-1662), il matematico – e filosofo, teologo e inventore – francese nato il 19 giugno a Clermont-Ferrand,. Una vita breve (morì neanche quarantenne), tanto scientificamente intensa quanto densa di ricerca spirituale. 
 Rimasto orfano di madre durante l'infanzia, Pascal venne cresciuto dal padre, un matematico che fu tra i primi testimoni delle grandi abilità intellettive del figlio, suo malgrado. Pare infatti che papà Pascal non volesse iniziare il pargolo agli studi della matematica, ritenendo che i numeri avrebbero distratto troppo la mente del figlio, non lasciando spazio ad altro. E invece Blaise era curioso proprio di numeri e figure. La geometria rapì gli interessi di Pascal sin da piccolo: tanto che intorno ai sedici anni arrivò il suo primo trattato, un saggio sulle coniche, anche stimolato dagli incontri con le menti più brillanti dell’epoca (come Pierre de Fermat e René Descartes), che frequentava nei circoli cui il padre, da tempo arresosi alle capacità del figlio, lo aveva introdotto
Ma non erano solo triangoli e coniche a interessare il giovane Pascal. Quando il padre, che lavorava come esattore, venne trasferito a Rouen, la quantità di lavoro crebbe, tanto che il figlio si ingegnò per aiutarlo nei conti. Mettendo a punto un calcolatore meccanico, uno dei primi, conosciuto come Pascalina, con il quale si sarebbe guadagnato per sempre un posto nella storia dell’ informatica (tanto che in suo onore un linguaggio di programmazione avrebbe preso il suo nome, il Pascal appunto).

A questa prima fase di studi e invenzioni ne sarebbe seguita una seconda, intervallata però da un periodo di intenso interesse verso la teologia, stimolato dall’incontro con alcuni seguaci del giansenismo, di cui egli stesso sarebbe poi diventato un membro.

domenica 16 giugno 2013

Questa è l'Europa....altro che Hitler...Mussolini...e cumpagnia bella!!!

Questa è l'Europa....altro che Hitler...Mussolini...e cumpagnia bella!!!



 
Questa immagine-notizia stringe il cuore: dopo 75 anni di vita, si ferma anche l'Orchestra Sinfonica Nazionale della Grecia. Ultima esibizione in lacrime dei musicisti sulle note dell'inno nazionale greco. Le politiche economiche imposte alla Grecia dalla Germania e dalla Troika, stanno uccidendo un Paese con un patrimonio storico e culturale immenso!
 Dopo la chiusura improvvisa della televisione pubblica nazionale ERT da parte del governo greco di Antonis Samaras, chiude dopo 75 anni di vita anche l'Orchestra Sinfonica Nazionale greca. L'Orchestra e il Coro di Ert hanno fatto la loro ultima esibizione: hanno dato l'addio al proprio pubblico suonando l'inno nazionale greco nel corso di un concerto che ha suscitato commozione, non solo per la grande folla radunatasi per ascoltare l'ultimo concerto, ma anche per gli stessi esecutori, che si sono mostrati con vistose lacrime agli occhi.
 L'annuncio: «Il governo stasera chiude Ert»






 



L'annuncio: «Il governo stasera chiude Ert» 
 Il portavoce del governo greco Simos Kedikoglou, ha annunciato la chiusura della Ert, la televisione e radio pubblica equivalente alla nostra Rai, e il licenziamento di tutti i suoi 2.500 dipendenti a partire da martedì sera. La decisione rientra nell'ambito del programma di privatizzazioni delle aziende a partecipazione statale concordato con la troika. 

Luciano Canfora parla della Grecia del 322 a.C. per parlare dell'Europa di oggi

Luciano Canfora parla della Grecia del 322 a.C. per parlare dell'Europa di oggi

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di Luciano Canfora | da il Corriere della Sera
 
atene-w300Cassandro nel 322 a. C. impose alla polis di limitare i suoi diritti
Quando i Macedoni misero Atene sotto tutela
Nonostante l'Europa sia debitrice di quasi tutto ai Greci e alla loro straordinaria civiltà, pochi grandi popoli hanno dovuto subire, nella loro storia, la pratica asfissiante della tutela da parte di altre potenze.

Centottanta anni fa, nel febbraio 1833, la Grecia finalmente «indipendente» si vedeva regalare dal concerto delle grandi potenze europee un sovrano tedesco, per l'esattezza bavarese: Ottone di Wittelsbach, scortato, poiché ancora in minore età, da un consiglio di reggenza tutto formato da bavaresi. Non sappiamo se Angela Merkel conosca la tremenda storia della Grecia moderna: ma certo il precedente la ingolosirebbe non poco. Nonostante l'Europa, a cominciare dagli antichi romani, sia debitrice di quasi tutto ai Greci e alla loro straordinaria civiltà filosofica, scientifica, letteraria ecc. (ma questi debiti per la Bce non contano), pochi grandi popoli hanno dovuto subire, come i Greci, nella loro storia, la pratica asfissiante della tutela da parte di altre potenze. Si potrebbe risalire molto indietro nel tempo, quando, dopo l'ultima insurrezione contro l'egemonia macedone sulla penisola (322 a.C.), agli Ateniesi, promotori dell'insurrezione, fu imposto, dal vincitore Cassandro, di cambiare il loro ordinamento politico e di limitare il diritto di cittadinanza a sole 9000 persone. Alla città che aveva dato vita al "modello democratico" fu imposto allora, dalla grande potenza dominatrice, un ordinamento timocratico, che limitava i diritti politici ai soli benestanti.

La tesi dottorale di Fustel de Coulanges si intitolava: «Polibio, ovvero la Grecia conquistata dai Romani» (1858). Il grande storico francese ricostruiva con efficacia e in modo essenziale quel lungo processo storico onde la Grecia divenne politicamente un satellite di Roma, anche se culturalmente fu Roma a ellenizzarsi. (Perciò fu detto che il vinto aveva acculturato il «feroce vincitore»). La dinamica non fu dissimile da quanto era accaduto centocinquant'anni prima con i Macedoni. Il conflitto sociale era aspro, e i ricchi, per spuntarla, invocarono la protezione della potente macchina militare della repubblica oligarchica per eccellenza: la repubblica romana. Così, la Grecia fu ancora un volta sotto tutela.

E' quello che, scavalcando i millenni, si tenta di fare oggi. Chi oggi, infatti, in Grecia più patirà delle imposizioni della «trimurti» (Ue, Bce, Fmi), sarà la povera gente, non certo i miliardari cosmopoliti. Un dato solo può rendere l'idea: l'assistenza medica è stata di fatto eliminata, ora che ad ogni cittadino greco è garantita fornitura gratuita di medicinali fino ad un massimo di 23 euro l'anno (meno di una medicina a testa per anno).

Il fine è quello di tenere in vita l'euro. Ma ai Greci — come del resto agli Italiani — non fu chiesto per referendum se desiderassero o meno «entrare» nella moneta unica che ormai viene difesa con la forza pubblica e col ricatto. Giunti a questo punto infatti ogni alternativa diventa, a dir poco, traumatica. Ma non dovrebbe sfuggire, che, se è la Germania che fa la voce grossa affinché nessuno dei popoli «discoli», che non ce la fanno più, esca dall'euro, ciò significa che è la sua economia a trarre il maggior vantaggio da questa «fortezza Europa» (come la chiamava il Führer) visto che gran parte delle sue esportazioni è in direzione dell'eurozona. (E un ritorno alle «svalutate» e abrogate monete nazionali ridarebbe alle merci dei Paesi liberati dall'euro non lieve forza concorrenziale). Non sarà facile per nessuno uscire dalla «gabbia d'acciaio», a meno che non sia la Germania stessa a calcolare che non le conviene più tenere serrati i chiavistelli.

Ma torniamo alla Grecia, vittima precipua di questa situazione il cui rimedio viene «spalmato» (come oggi si usa dire) sui prossimi vent'anni. La cattiva coscienza delle potenze europee verso la Grecia si è manifestata in un ampio arco di tempo. L'episodio emblematico dell'insediamento di Ottone era il punto d'arrivo di un ciclo apertosi per lo meno con l'attacco di Bonaparte all'Egitto (1798): colpo non da poco all'impero turco, salutato, allora, come prima tappa per la liberazione della Grecia, stroncato immediatamente dall'Inghilterra con la vittoria di Nelson ad Abukir, salvifica per la «Sublime Porta» ottomana. E quando, vent'anni dopo, esplose l'«Epanastasi», la grande rivolta nazionale dei Greci, se è vero che schiere di europei filogreci accorsero a sostegno, l'elemento decisivo fu alla fine il gioco cinico delle cancellerie europee. Nel secolo seguente, la Grecia sperimentò per prima, e sulla propria pelle, gli effetti devastanti della guerra fredda: i partigiani greci, che avevano dato filo da torcere ai nazisti, si trovarono, a guerra mondiale ormai conclusa, a combattere contro gli inglesi, ritenendo la Gran Bretagna la Grecia di sua spettanza nella spartizione dell'Europa. E la guerra, per i Greci, proseguì fin quasi all'anno «santo» 1950. Da allora il paese fu in stato di semi-occupazione e sotto stretta tutela. Quando, dopo quindici anni il vecchio Papandreu, il patriarca della dinastia, giunse al potere scalzando finalmente i governi-sgabello del dopoguerra, la libertà riconquistata durò assai poco. E nell'aprile '67 alla Grecia vennero imposti i colonnelli.

Sappiamo bene quanto limitata fosse per tutti la sovranità in quegli anni, ma solo alla Grecia fu inflitto, per tenerla sotto, un nuovo fascismo. Un grande filologo francese, oggi novantenne, Bertrand Hemmerdinger, espresse molti anni addietro, regnanti ancora i colonnelli, la propria passione per la Grecia definendosi «internazionalista e patriota greco». Non poteva prevedere che ai colonnelli sarebbero subentrati i banchieri.
- See more at: http://www.marx21.it/storia-teoria-e-scienza/storia/1026-luciano-canfora-parla-della-grecia-del-322-ac-per-parlare-delleuropa-di-oggi.html#sthash.nAnhXDVl.dpuf

di Luciano Canfora | da il Corriere della Sera
Cassandro nel 322 a. C. impose alla polis di limitare i suoi diritti
Quando i Macedoni misero Atene sotto tutela
Nonostante l'Europa sia debitrice di quasi tutto ai Greci e alla loro straordinaria civiltà, pochi grandi popoli hanno dovuto subire, nella loro storia, la pratica asfissiante della tutela da parte di altre potenze.

Centottanta anni fa, nel febbraio 1833, la Grecia finalmente «indipendente» si vedeva regalare dal concerto delle grandi potenze europee un sovrano tedesco, per l'esattezza bavarese: Ottone di Wittelsbach, scortato, poiché ancora in minore età, da un consiglio di reggenza tutto formato da bavaresi. Non sappiamo se Angela Merkel conosca la tremenda storia della Grecia moderna: ma certo il precedente la ingolosirebbe non poco. Nonostante l'Europa, a cominciare dagli antichi romani, sia debitrice di quasi tutto ai Greci e alla loro straordinaria civiltà filosofica, scientifica, letteraria ecc. (ma questi debiti per la Bce non contano), pochi grandi popoli hanno dovuto subire, come i Greci, nella loro storia, la pratica asfissiante della tutela da parte di altre potenze. Si potrebbe risalire molto indietro nel tempo, quando, dopo l'ultima insurrezione contro l'egemonia macedone sulla penisola (322 a.C.), agli Ateniesi, promotori dell'insurrezione, fu imposto, dal vincitore Cassandro, di cambiare il loro ordinamento politico e di limitare il diritto di cittadinanza a sole 9000 persone. Alla città che aveva dato vita al "modello democratico" fu imposto allora, dalla grande potenza dominatrice, un ordinamento timocratico, che limitava i diritti politici ai soli benestanti.

La tesi dottorale di Fustel de Coulanges si intitolava: «Polibio, ovvero la Grecia conquistata dai Romani» (1858). Il grande storico francese ricostruiva con efficacia e in modo essenziale quel lungo processo storico onde la Grecia divenne politicamente un satellite di Roma, anche se culturalmente fu Roma a ellenizzarsi. (Perciò fu detto che il vinto aveva acculturato il «feroce vincitore»). La dinamica non fu dissimile da quanto era accaduto centocinquant'anni prima con i Macedoni. Il conflitto sociale era aspro, e i ricchi, per spuntarla, invocarono la protezione della potente macchina militare della repubblica oligarchica per eccellenza: la repubblica romana. Così, la Grecia fu ancora un volta sotto tutela.

E' quello che, scavalcando i millenni, si tenta di fare oggi. Chi oggi, infatti, in Grecia più patirà delle imposizioni della «trimurti» (Ue, Bce, Fmi), sarà la povera gente, non certo i miliardari cosmopoliti. Un dato solo può rendere l'idea: l'assistenza medica è stata di fatto eliminata, ora che ad ogni cittadino greco è garantita fornitura gratuita di medicinali fino ad un massimo di 23 euro l'anno (meno di una medicina a testa per anno).

Il fine è quello di tenere in vita l'euro. Ma ai Greci — come del resto agli Italiani — non fu chiesto per referendum se desiderassero o meno «entrare» nella moneta unica che ormai viene difesa con la forza pubblica e col ricatto. Giunti a questo punto infatti ogni alternativa diventa, a dir poco, traumatica. Ma non dovrebbe sfuggire, che, se è la Germania che fa la voce grossa affinché nessuno dei popoli «discoli», che non ce la fanno più, esca dall'euro, ciò significa che è la sua economia a trarre il maggior vantaggio da questa «fortezza Europa» (come la chiamava il Führer) visto che gran parte delle sue esportazioni è in direzione dell'eurozona. (E un ritorno alle «svalutate» e abrogate monete nazionali ridarebbe alle merci dei Paesi liberati dall'euro non lieve forza concorrenziale). Non sarà facile per nessuno uscire dalla «gabbia d'acciaio», a meno che non sia la Germania stessa a calcolare che non le conviene più tenere serrati i chiavistelli.

Ma torniamo alla Grecia, vittima precipua di questa situazione il cui rimedio viene «spalmato» (come oggi si usa dire) sui prossimi vent'anni. La cattiva coscienza delle potenze europee verso la Grecia si è manifestata in un ampio arco di tempo. L'episodio emblematico dell'insediamento di Ottone era il punto d'arrivo di un ciclo apertosi per lo meno con l'attacco di Bonaparte all'Egitto (1798): colpo non da poco all'impero turco, salutato, allora, come prima tappa per la liberazione della Grecia, stroncato immediatamente dall'Inghilterra con la vittoria di Nelson ad Abukir, salvifica per la «Sublime Porta» ottomana. E quando, vent'anni dopo, esplose l'«Epanastasi», la grande rivolta nazionale dei Greci, se è vero che schiere di europei filogreci accorsero a sostegno, l'elemento decisivo fu alla fine il gioco cinico delle cancellerie europee. Nel secolo seguente, la Grecia sperimentò per prima, e sulla propria pelle, gli effetti devastanti della guerra fredda: i partigiani greci, che avevano dato filo da torcere ai nazisti, si trovarono, a guerra mondiale ormai conclusa, a combattere contro gli inglesi, ritenendo la Gran Bretagna la Grecia di sua spettanza nella spartizione dell'Europa. E la guerra, per i Greci, proseguì fin quasi all'anno «santo» 1950. Da allora il paese fu in stato di semi-occupazione e sotto stretta tutela. Quando, dopo quindici anni il vecchio Papandreu, il patriarca della dinastia, giunse al potere scalzando finalmente i governi-sgabello del dopoguerra, la libertà riconquistata durò assai poco. E nell'aprile '67 alla Grecia vennero imposti i colonnelli.

Sappiamo bene quanto limitata fosse per tutti la sovranità in quegli anni, ma solo alla Grecia fu inflitto, per tenerla sotto, un nuovo fascismo. Un grande filologo francese, oggi novantenne, Bertrand Hemmerdinger, espresse molti anni addietro, regnanti ancora i colonnelli, la propria passione per la Grecia definendosi «internazionalista e patriota greco». Non poteva prevedere che ai colonnelli sarebbero subentrati i banchieri.
- See more at: http://www.marx21.it/storia-teoria-e-scienza/storia/1026-luciano-canfora-parla-della-grecia-del-322-ac-per-parlare-delleuropa-di-oggi.html#sthash.nAnhXDVl.dpuf
 Cassandro nel 322 a. C. impose alla polis di limitare i suoi diritti
Quando i Macedoni misero Atene sotto tutela

atene-w300Nonostante l'Europa sia debitrice di quasi tutto ai Greci e alla loro straordinaria civiltà, pochi grandi popoli hanno dovuto subire, nella loro storia, la pratica asfissiante della tutela da parte di altre potenze.

Centottanta anni fa, nel febbraio 1833, la Grecia finalmente «indipendente» si vedeva regalare dal concerto delle grandi potenze europee un sovrano tedesco, per l'esattezza bavarese: Ottone di Wittelsbach, scortato, poiché ancora in minore età, da un consiglio di reggenza tutto formato da bavaresi. Non sappiamo se Angela Merkel conosca la tremenda storia della Grecia moderna: ma certo il precedente la ingolosirebbe non poco. Nonostante l'Europa, a cominciare dagli antichi romani, sia debitrice di quasi tutto ai Greci e alla loro straordinaria civiltà filosofica, scientifica, letteraria ecc. (ma questi debiti per la Bce non contano), pochi grandi popoli hanno dovuto subire, come i Greci, nella loro storia, la pratica asfissiante della tutela da parte di altre potenze. Si potrebbe risalire molto indietro nel tempo, quando, dopo l'ultima insurrezione contro l'egemonia macedone sulla penisola (322 a.C.), agli Ateniesi, promotori dell'insurrezione, fu imposto, dal vincitore Cassandro, di cambiare il loro ordinamento politico e di limitare il diritto di cittadinanza a sole 9000 persone.

domenica 9 giugno 2013

I DIKTAT EUROPEI PER GIUSTIFICARE IL FALSO MITO DELLA "COESIONE" La democrazia. Storia di un'ideologia....


I DIKTAT EUROPEI PER GIUSTIFICARE IL FALSO MITO  DELLA "COESIONE"
La democrazia. Storia di un'ideologia....


 


 

Siamo spettatori di un paradosso. Il paradosso è che, al termine di un ventennio consacrato, con regolari vampate salmodianti, al culto del «bipolarismo», i medesimi idolatri siano ora passati, con analoga foga, al culto della «coesione». Il nuovo dogma è: fare «tutti insieme» le «cose che contano», le fondamentali sulle quali è «ovvio» che «siamo tutti d’accordo». Buono a sapersi. Evidentemente il bipolarismo serviva a non farle, le «cose che contano».
La religione del bipolarismo può comunque vantare alcuni bei successi: non solo ha distrutto la cosiddetta «Prima Repubblica» ma ha ridotto la sinistra alla caricatura di se stessa, ad una macchietta speculare della destra, protesa a «contendere il centro alla destra» con le stesse «armi» lessicali e concettuali dell’antagonista.
Inglobata nella pulsione bipolaristica, la sinistra è diventata infatti, via via, sempre meno sinistra.
Dovendo fare insieme le «cose che contano» — cioè far deglutire ai gruppi sociali più deboli una cura da cavallo a botte di tassazione indiretta — centrodestra e centrosinistra archiviano il bipolarismo.
La religione del bipolarismo può comunque vantare alcuni bei successi: non solo ha distrutto la cosiddetta «Prima Repubblica» ma ha ridotto la sinistra alla caricatura di se stessa, ad una macchietta speculare della destra, protesa a «contendere il centro alla destra» con le stesse «armi» lessicali e concettuali dell’antagonista.
Inglobata nella pulsione bipolaristica, la sinistra è diventata infatti, via via, sempre meno sinistra.
Dovendo fare insieme le «cose che contano» — cioè far deglutire ai gruppi sociali più deboli una cura da cavallo a botte di tassazione indiretta — centrodestra e centrosinistra archiviano il bipolarismo.

E lo archiviano per un periodo lunghissimo visto che la cura da cavallo è programmata per il prossimo ventennio se vuole risultare «efficace». (E non sarebbe male cercare di chiarire cosa s’intenda per «efficacia»).
Il processo è stato abbastanza lineare: