domenica 16 giugno 2013

Questa è l'Europa....altro che Hitler...Mussolini...e cumpagnia bella!!!

Questa è l'Europa....altro che Hitler...Mussolini...e cumpagnia bella!!!



 
Questa immagine-notizia stringe il cuore: dopo 75 anni di vita, si ferma anche l'Orchestra Sinfonica Nazionale della Grecia. Ultima esibizione in lacrime dei musicisti sulle note dell'inno nazionale greco. Le politiche economiche imposte alla Grecia dalla Germania e dalla Troika, stanno uccidendo un Paese con un patrimonio storico e culturale immenso!
 Dopo la chiusura improvvisa della televisione pubblica nazionale ERT da parte del governo greco di Antonis Samaras, chiude dopo 75 anni di vita anche l'Orchestra Sinfonica Nazionale greca. L'Orchestra e il Coro di Ert hanno fatto la loro ultima esibizione: hanno dato l'addio al proprio pubblico suonando l'inno nazionale greco nel corso di un concerto che ha suscitato commozione, non solo per la grande folla radunatasi per ascoltare l'ultimo concerto, ma anche per gli stessi esecutori, che si sono mostrati con vistose lacrime agli occhi.
 L'annuncio: «Il governo stasera chiude Ert»






 



L'annuncio: «Il governo stasera chiude Ert» 
 Il portavoce del governo greco Simos Kedikoglou, ha annunciato la chiusura della Ert, la televisione e radio pubblica equivalente alla nostra Rai, e il licenziamento di tutti i suoi 2.500 dipendenti a partire da martedì sera. La decisione rientra nell'ambito del programma di privatizzazioni delle aziende a partecipazione statale concordato con la troika. 

Luciano Canfora parla della Grecia del 322 a.C. per parlare dell'Europa di oggi

Luciano Canfora parla della Grecia del 322 a.C. per parlare dell'Europa di oggi

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di Luciano Canfora | da il Corriere della Sera
 
atene-w300Cassandro nel 322 a. C. impose alla polis di limitare i suoi diritti
Quando i Macedoni misero Atene sotto tutela
Nonostante l'Europa sia debitrice di quasi tutto ai Greci e alla loro straordinaria civiltà, pochi grandi popoli hanno dovuto subire, nella loro storia, la pratica asfissiante della tutela da parte di altre potenze.

Centottanta anni fa, nel febbraio 1833, la Grecia finalmente «indipendente» si vedeva regalare dal concerto delle grandi potenze europee un sovrano tedesco, per l'esattezza bavarese: Ottone di Wittelsbach, scortato, poiché ancora in minore età, da un consiglio di reggenza tutto formato da bavaresi. Non sappiamo se Angela Merkel conosca la tremenda storia della Grecia moderna: ma certo il precedente la ingolosirebbe non poco. Nonostante l'Europa, a cominciare dagli antichi romani, sia debitrice di quasi tutto ai Greci e alla loro straordinaria civiltà filosofica, scientifica, letteraria ecc. (ma questi debiti per la Bce non contano), pochi grandi popoli hanno dovuto subire, come i Greci, nella loro storia, la pratica asfissiante della tutela da parte di altre potenze. Si potrebbe risalire molto indietro nel tempo, quando, dopo l'ultima insurrezione contro l'egemonia macedone sulla penisola (322 a.C.), agli Ateniesi, promotori dell'insurrezione, fu imposto, dal vincitore Cassandro, di cambiare il loro ordinamento politico e di limitare il diritto di cittadinanza a sole 9000 persone. Alla città che aveva dato vita al "modello democratico" fu imposto allora, dalla grande potenza dominatrice, un ordinamento timocratico, che limitava i diritti politici ai soli benestanti.

La tesi dottorale di Fustel de Coulanges si intitolava: «Polibio, ovvero la Grecia conquistata dai Romani» (1858). Il grande storico francese ricostruiva con efficacia e in modo essenziale quel lungo processo storico onde la Grecia divenne politicamente un satellite di Roma, anche se culturalmente fu Roma a ellenizzarsi. (Perciò fu detto che il vinto aveva acculturato il «feroce vincitore»). La dinamica non fu dissimile da quanto era accaduto centocinquant'anni prima con i Macedoni. Il conflitto sociale era aspro, e i ricchi, per spuntarla, invocarono la protezione della potente macchina militare della repubblica oligarchica per eccellenza: la repubblica romana. Così, la Grecia fu ancora un volta sotto tutela.

E' quello che, scavalcando i millenni, si tenta di fare oggi. Chi oggi, infatti, in Grecia più patirà delle imposizioni della «trimurti» (Ue, Bce, Fmi), sarà la povera gente, non certo i miliardari cosmopoliti. Un dato solo può rendere l'idea: l'assistenza medica è stata di fatto eliminata, ora che ad ogni cittadino greco è garantita fornitura gratuita di medicinali fino ad un massimo di 23 euro l'anno (meno di una medicina a testa per anno).

Il fine è quello di tenere in vita l'euro. Ma ai Greci — come del resto agli Italiani — non fu chiesto per referendum se desiderassero o meno «entrare» nella moneta unica che ormai viene difesa con la forza pubblica e col ricatto. Giunti a questo punto infatti ogni alternativa diventa, a dir poco, traumatica. Ma non dovrebbe sfuggire, che, se è la Germania che fa la voce grossa affinché nessuno dei popoli «discoli», che non ce la fanno più, esca dall'euro, ciò significa che è la sua economia a trarre il maggior vantaggio da questa «fortezza Europa» (come la chiamava il Führer) visto che gran parte delle sue esportazioni è in direzione dell'eurozona. (E un ritorno alle «svalutate» e abrogate monete nazionali ridarebbe alle merci dei Paesi liberati dall'euro non lieve forza concorrenziale). Non sarà facile per nessuno uscire dalla «gabbia d'acciaio», a meno che non sia la Germania stessa a calcolare che non le conviene più tenere serrati i chiavistelli.

Ma torniamo alla Grecia, vittima precipua di questa situazione il cui rimedio viene «spalmato» (come oggi si usa dire) sui prossimi vent'anni. La cattiva coscienza delle potenze europee verso la Grecia si è manifestata in un ampio arco di tempo. L'episodio emblematico dell'insediamento di Ottone era il punto d'arrivo di un ciclo apertosi per lo meno con l'attacco di Bonaparte all'Egitto (1798): colpo non da poco all'impero turco, salutato, allora, come prima tappa per la liberazione della Grecia, stroncato immediatamente dall'Inghilterra con la vittoria di Nelson ad Abukir, salvifica per la «Sublime Porta» ottomana. E quando, vent'anni dopo, esplose l'«Epanastasi», la grande rivolta nazionale dei Greci, se è vero che schiere di europei filogreci accorsero a sostegno, l'elemento decisivo fu alla fine il gioco cinico delle cancellerie europee. Nel secolo seguente, la Grecia sperimentò per prima, e sulla propria pelle, gli effetti devastanti della guerra fredda: i partigiani greci, che avevano dato filo da torcere ai nazisti, si trovarono, a guerra mondiale ormai conclusa, a combattere contro gli inglesi, ritenendo la Gran Bretagna la Grecia di sua spettanza nella spartizione dell'Europa. E la guerra, per i Greci, proseguì fin quasi all'anno «santo» 1950. Da allora il paese fu in stato di semi-occupazione e sotto stretta tutela. Quando, dopo quindici anni il vecchio Papandreu, il patriarca della dinastia, giunse al potere scalzando finalmente i governi-sgabello del dopoguerra, la libertà riconquistata durò assai poco. E nell'aprile '67 alla Grecia vennero imposti i colonnelli.

Sappiamo bene quanto limitata fosse per tutti la sovranità in quegli anni, ma solo alla Grecia fu inflitto, per tenerla sotto, un nuovo fascismo. Un grande filologo francese, oggi novantenne, Bertrand Hemmerdinger, espresse molti anni addietro, regnanti ancora i colonnelli, la propria passione per la Grecia definendosi «internazionalista e patriota greco». Non poteva prevedere che ai colonnelli sarebbero subentrati i banchieri.
- See more at: http://www.marx21.it/storia-teoria-e-scienza/storia/1026-luciano-canfora-parla-della-grecia-del-322-ac-per-parlare-delleuropa-di-oggi.html#sthash.nAnhXDVl.dpuf

di Luciano Canfora | da il Corriere della Sera
Cassandro nel 322 a. C. impose alla polis di limitare i suoi diritti
Quando i Macedoni misero Atene sotto tutela
Nonostante l'Europa sia debitrice di quasi tutto ai Greci e alla loro straordinaria civiltà, pochi grandi popoli hanno dovuto subire, nella loro storia, la pratica asfissiante della tutela da parte di altre potenze.

Centottanta anni fa, nel febbraio 1833, la Grecia finalmente «indipendente» si vedeva regalare dal concerto delle grandi potenze europee un sovrano tedesco, per l'esattezza bavarese: Ottone di Wittelsbach, scortato, poiché ancora in minore età, da un consiglio di reggenza tutto formato da bavaresi. Non sappiamo se Angela Merkel conosca la tremenda storia della Grecia moderna: ma certo il precedente la ingolosirebbe non poco. Nonostante l'Europa, a cominciare dagli antichi romani, sia debitrice di quasi tutto ai Greci e alla loro straordinaria civiltà filosofica, scientifica, letteraria ecc. (ma questi debiti per la Bce non contano), pochi grandi popoli hanno dovuto subire, come i Greci, nella loro storia, la pratica asfissiante della tutela da parte di altre potenze. Si potrebbe risalire molto indietro nel tempo, quando, dopo l'ultima insurrezione contro l'egemonia macedone sulla penisola (322 a.C.), agli Ateniesi, promotori dell'insurrezione, fu imposto, dal vincitore Cassandro, di cambiare il loro ordinamento politico e di limitare il diritto di cittadinanza a sole 9000 persone. Alla città che aveva dato vita al "modello democratico" fu imposto allora, dalla grande potenza dominatrice, un ordinamento timocratico, che limitava i diritti politici ai soli benestanti.

La tesi dottorale di Fustel de Coulanges si intitolava: «Polibio, ovvero la Grecia conquistata dai Romani» (1858). Il grande storico francese ricostruiva con efficacia e in modo essenziale quel lungo processo storico onde la Grecia divenne politicamente un satellite di Roma, anche se culturalmente fu Roma a ellenizzarsi. (Perciò fu detto che il vinto aveva acculturato il «feroce vincitore»). La dinamica non fu dissimile da quanto era accaduto centocinquant'anni prima con i Macedoni. Il conflitto sociale era aspro, e i ricchi, per spuntarla, invocarono la protezione della potente macchina militare della repubblica oligarchica per eccellenza: la repubblica romana. Così, la Grecia fu ancora un volta sotto tutela.

E' quello che, scavalcando i millenni, si tenta di fare oggi. Chi oggi, infatti, in Grecia più patirà delle imposizioni della «trimurti» (Ue, Bce, Fmi), sarà la povera gente, non certo i miliardari cosmopoliti. Un dato solo può rendere l'idea: l'assistenza medica è stata di fatto eliminata, ora che ad ogni cittadino greco è garantita fornitura gratuita di medicinali fino ad un massimo di 23 euro l'anno (meno di una medicina a testa per anno).

Il fine è quello di tenere in vita l'euro. Ma ai Greci — come del resto agli Italiani — non fu chiesto per referendum se desiderassero o meno «entrare» nella moneta unica che ormai viene difesa con la forza pubblica e col ricatto. Giunti a questo punto infatti ogni alternativa diventa, a dir poco, traumatica. Ma non dovrebbe sfuggire, che, se è la Germania che fa la voce grossa affinché nessuno dei popoli «discoli», che non ce la fanno più, esca dall'euro, ciò significa che è la sua economia a trarre il maggior vantaggio da questa «fortezza Europa» (come la chiamava il Führer) visto che gran parte delle sue esportazioni è in direzione dell'eurozona. (E un ritorno alle «svalutate» e abrogate monete nazionali ridarebbe alle merci dei Paesi liberati dall'euro non lieve forza concorrenziale). Non sarà facile per nessuno uscire dalla «gabbia d'acciaio», a meno che non sia la Germania stessa a calcolare che non le conviene più tenere serrati i chiavistelli.

Ma torniamo alla Grecia, vittima precipua di questa situazione il cui rimedio viene «spalmato» (come oggi si usa dire) sui prossimi vent'anni. La cattiva coscienza delle potenze europee verso la Grecia si è manifestata in un ampio arco di tempo. L'episodio emblematico dell'insediamento di Ottone era il punto d'arrivo di un ciclo apertosi per lo meno con l'attacco di Bonaparte all'Egitto (1798): colpo non da poco all'impero turco, salutato, allora, come prima tappa per la liberazione della Grecia, stroncato immediatamente dall'Inghilterra con la vittoria di Nelson ad Abukir, salvifica per la «Sublime Porta» ottomana. E quando, vent'anni dopo, esplose l'«Epanastasi», la grande rivolta nazionale dei Greci, se è vero che schiere di europei filogreci accorsero a sostegno, l'elemento decisivo fu alla fine il gioco cinico delle cancellerie europee. Nel secolo seguente, la Grecia sperimentò per prima, e sulla propria pelle, gli effetti devastanti della guerra fredda: i partigiani greci, che avevano dato filo da torcere ai nazisti, si trovarono, a guerra mondiale ormai conclusa, a combattere contro gli inglesi, ritenendo la Gran Bretagna la Grecia di sua spettanza nella spartizione dell'Europa. E la guerra, per i Greci, proseguì fin quasi all'anno «santo» 1950. Da allora il paese fu in stato di semi-occupazione e sotto stretta tutela. Quando, dopo quindici anni il vecchio Papandreu, il patriarca della dinastia, giunse al potere scalzando finalmente i governi-sgabello del dopoguerra, la libertà riconquistata durò assai poco. E nell'aprile '67 alla Grecia vennero imposti i colonnelli.

Sappiamo bene quanto limitata fosse per tutti la sovranità in quegli anni, ma solo alla Grecia fu inflitto, per tenerla sotto, un nuovo fascismo. Un grande filologo francese, oggi novantenne, Bertrand Hemmerdinger, espresse molti anni addietro, regnanti ancora i colonnelli, la propria passione per la Grecia definendosi «internazionalista e patriota greco». Non poteva prevedere che ai colonnelli sarebbero subentrati i banchieri.
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 Cassandro nel 322 a. C. impose alla polis di limitare i suoi diritti
Quando i Macedoni misero Atene sotto tutela

atene-w300Nonostante l'Europa sia debitrice di quasi tutto ai Greci e alla loro straordinaria civiltà, pochi grandi popoli hanno dovuto subire, nella loro storia, la pratica asfissiante della tutela da parte di altre potenze.

Centottanta anni fa, nel febbraio 1833, la Grecia finalmente «indipendente» si vedeva regalare dal concerto delle grandi potenze europee un sovrano tedesco, per l'esattezza bavarese: Ottone di Wittelsbach, scortato, poiché ancora in minore età, da un consiglio di reggenza tutto formato da bavaresi. Non sappiamo se Angela Merkel conosca la tremenda storia della Grecia moderna: ma certo il precedente la ingolosirebbe non poco. Nonostante l'Europa, a cominciare dagli antichi romani, sia debitrice di quasi tutto ai Greci e alla loro straordinaria civiltà filosofica, scientifica, letteraria ecc. (ma questi debiti per la Bce non contano), pochi grandi popoli hanno dovuto subire, come i Greci, nella loro storia, la pratica asfissiante della tutela da parte di altre potenze. Si potrebbe risalire molto indietro nel tempo, quando, dopo l'ultima insurrezione contro l'egemonia macedone sulla penisola (322 a.C.), agli Ateniesi, promotori dell'insurrezione, fu imposto, dal vincitore Cassandro, di cambiare il loro ordinamento politico e di limitare il diritto di cittadinanza a sole 9000 persone.

Alla città che aveva dato vita al "modello democratico" fu imposto allora, dalla grande potenza dominatrice, un ordinamento timocratico, che limitava i diritti politici ai soli benestanti.

La tesi dottorale di Fustel de Coulanges si intitolava: «Polibio, ovvero la Grecia conquistata dai Romani» (1858). Il grande storico francese ricostruiva con efficacia e in modo essenziale quel lungo processo storico onde la Grecia divenne politicamente un satellite di Roma, anche se culturalmente fu Roma a ellenizzarsi. (Perciò fu detto che il vinto aveva acculturato il «feroce vincitore»). La dinamica non fu dissimile da quanto era accaduto centocinquant'anni prima con i Macedoni. Il conflitto sociale era aspro, e i ricchi, per spuntarla, invocarono la protezione della potente macchina militare della repubblica oligarchica per eccellenza: la repubblica romana. Così, la Grecia fu ancora un volta sotto tutela.

E' quello che, scavalcando i millenni, si tenta di fare oggi. Chi oggi, infatti, in Grecia più patirà delle imposizioni della «trimurti» (Ue, Bce, Fmi), sarà la povera gente, non certo i miliardari cosmopoliti. Un dato solo può rendere l'idea: l'assistenza medica è stata di fatto eliminata, ora che ad ogni cittadino greco è garantita fornitura gratuita di medicinali fino ad un massimo di 23 euro l'anno (meno di una medicina a testa per anno).

Il fine è quello di tenere in vita l'euro. Ma ai Greci — come del resto agli Italiani — non fu chiesto per referendum se desiderassero o meno «entrare» nella moneta unica che ormai viene difesa con la forza pubblica e col ricatto. Giunti a questo punto infatti ogni alternativa diventa, a dir poco, traumatica. Ma non dovrebbe sfuggire, che, se è la Germania che fa la voce grossa affinché nessuno dei popoli «discoli», che non ce la fanno più, esca dall'euro, ciò significa che è la sua economia a trarre il maggior vantaggio da questa «fortezza Europa» (come la chiamava il Führer) visto che gran parte delle sue esportazioni è in direzione dell'eurozona. (E un ritorno alle «svalutate» e abrogate monete nazionali ridarebbe alle merci dei Paesi liberati dall'euro non lieve forza concorrenziale). Non sarà facile per nessuno uscire dalla «gabbia d'acciaio», a meno che non sia la Germania stessa a calcolare che non le conviene più tenere serrati i chiavistelli.

Ma torniamo alla Grecia, vittima precipua di questa situazione il cui rimedio viene «spalmato» (come oggi si usa dire) sui prossimi vent'anni. La cattiva coscienza delle potenze europee verso la Grecia si è manifestata in un ampio arco di tempo. L'episodio emblematico dell'insediamento di Ottone era il punto d'arrivo di un ciclo apertosi per lo meno con l'attacco di Bonaparte all'Egitto (1798): colpo non da poco all'impero turco, salutato, allora, come prima tappa per la liberazione della Grecia, stroncato immediatamente dall'Inghilterra con la vittoria di Nelson ad Abukir, salvifica per la «Sublime Porta» ottomana. E quando, vent'anni dopo, esplose l'«Epanastasi», la grande rivolta nazionale dei Greci, se è vero che schiere di europei filogreci accorsero a sostegno, l'elemento decisivo fu alla fine il gioco cinico delle cancellerie europee. Nel secolo seguente, la Grecia sperimentò per prima, e sulla propria pelle, gli effetti devastanti della guerra fredda: i partigiani greci, che avevano dato filo da torcere ai nazisti, si trovarono, a guerra mondiale ormai conclusa, a combattere contro gli inglesi, ritenendo la Gran Bretagna la Grecia di sua spettanza nella spartizione dell'Europa. E la guerra, per i Greci, proseguì fin quasi all'anno «santo» 1950. Da allora il paese fu in stato di semi-occupazione e sotto stretta tutela. Quando, dopo quindici anni il vecchio Papandreu, il patriarca della dinastia, giunse al potere scalzando finalmente i governi-sgabello del dopoguerra, la libertà riconquistata durò assai poco. E nell'aprile '67 alla Grecia vennero imposti i colonnelli.

Sappiamo bene quanto limitata fosse per tutti la sovranità in quegli anni, ma solo alla Grecia fu inflitto, per tenerla sotto, un nuovo fascismo. Un grande filologo francese, oggi novantenne, Bertrand Hemmerdinger, espresse molti anni addietro, regnanti ancora i colonnelli, la propria passione per la Grecia definendosi «internazionalista e patriota greco». Non poteva prevedere che ai colonnelli sarebbero subentrati i banchieri.

Fonte:http://www.marx21.it/storia-teoria-e-scienza/storia/1026-luciano-canfora-parla-della-grecia-del-322-ac-per-parlare-delleuropa-di-oggi.html
Cassandro nel 322 a. C. impose alla polis di limitare i suoi diritti
Quando i Macedoni misero Atene sotto tutela
Nonostante l'Europa sia debitrice di quasi tutto ai Greci e alla loro straordinaria civiltà, pochi grandi popoli hanno dovuto subire, nella loro storia, la pratica asfissiante della tutela da parte di altre potenze.

Centottanta anni fa, nel febbraio 1833, la Grecia finalmente «indipendente» si vedeva regalare dal concerto delle grandi potenze europee un sovrano tedesco, per l'esattezza bavarese: Ottone di Wittelsbach, scortato, poiché ancora in minore età, da un consiglio di reggenza tutto formato da bavaresi. Non sappiamo se Angela Merkel conosca la tremenda storia della Grecia moderna: ma certo il precedente la ingolosirebbe non poco. Nonostante l'Europa, a cominciare dagli antichi romani, sia debitrice di quasi tutto ai Greci e alla loro straordinaria civiltà filosofica, scientifica, letteraria ecc. (ma questi debiti per la Bce non contano), pochi grandi popoli hanno dovuto subire, come i Greci, nella loro storia, la pratica asfissiante della tutela da parte di altre potenze. Si potrebbe risalire molto indietro nel tempo, quando, dopo l'ultima insurrezione contro l'egemonia macedone sulla penisola (322 a.C.), agli Ateniesi, promotori dell'insurrezione, fu imposto, dal vincitore Cassandro, di cambiare il loro ordinamento politico e di limitare il diritto di cittadinanza a sole 9000 persone. Alla città che aveva dato vita al "modello democratico" fu imposto allora, dalla grande potenza dominatrice, un ordinamento timocratico, che limitava i diritti politici ai soli benestanti.

La tesi dottorale di Fustel de Coulanges si intitolava: «Polibio, ovvero la Grecia conquistata dai Romani» (1858). Il grande storico francese ricostruiva con efficacia e in modo essenziale quel lungo processo storico onde la Grecia divenne politicamente un satellite di Roma, anche se culturalmente fu Roma a ellenizzarsi. (Perciò fu detto che il vinto aveva acculturato il «feroce vincitore»). La dinamica non fu dissimile da quanto era accaduto centocinquant'anni prima con i Macedoni. Il conflitto sociale era aspro, e i ricchi, per spuntarla, invocarono la protezione della potente macchina militare della repubblica oligarchica per eccellenza: la repubblica romana. Così, la Grecia fu ancora un volta sotto tutela.

E' quello che, scavalcando i millenni, si tenta di fare oggi. Chi oggi, infatti, in Grecia più patirà delle imposizioni della «trimurti» (Ue, Bce, Fmi), sarà la povera gente, non certo i miliardari cosmopoliti. Un dato solo può rendere l'idea: l'assistenza medica è stata di fatto eliminata, ora che ad ogni cittadino greco è garantita fornitura gratuita di medicinali fino ad un massimo di 23 euro l'anno (meno di una medicina a testa per anno).

Il fine è quello di tenere in vita l'euro. Ma ai Greci — come del resto agli Italiani — non fu chiesto per referendum se desiderassero o meno «entrare» nella moneta unica che ormai viene difesa con la forza pubblica e col ricatto. Giunti a questo punto infatti ogni alternativa diventa, a dir poco, traumatica. Ma non dovrebbe sfuggire, che, se è la Germania che fa la voce grossa affinché nessuno dei popoli «discoli», che non ce la fanno più, esca dall'euro, ciò significa che è la sua economia a trarre il maggior vantaggio da questa «fortezza Europa» (come la chiamava il Führer) visto che gran parte delle sue esportazioni è in direzione dell'eurozona. (E un ritorno alle «svalutate» e abrogate monete nazionali ridarebbe alle merci dei Paesi liberati dall'euro non lieve forza concorrenziale). Non sarà facile per nessuno uscire dalla «gabbia d'acciaio», a meno che non sia la Germania stessa a calcolare che non le conviene più tenere serrati i chiavistelli.

Ma torniamo alla Grecia, vittima precipua di questa situazione il cui rimedio viene «spalmato» (come oggi si usa dire) sui prossimi vent'anni. La cattiva coscienza delle potenze europee verso la Grecia si è manifestata in un ampio arco di tempo. L'episodio emblematico dell'insediamento di Ottone era il punto d'arrivo di un ciclo apertosi per lo meno con l'attacco di Bonaparte all'Egitto (1798): colpo non da poco all'impero turco, salutato, allora, come prima tappa per la liberazione della Grecia, stroncato immediatamente dall'Inghilterra con la vittoria di Nelson ad Abukir, salvifica per la «Sublime Porta» ottomana. E quando, vent'anni dopo, esplose l'«Epanastasi», la grande rivolta nazionale dei Greci, se è vero che schiere di europei filogreci accorsero a sostegno, l'elemento decisivo fu alla fine il gioco cinico delle cancellerie europee. Nel secolo seguente, la Grecia sperimentò per prima, e sulla propria pelle, gli effetti devastanti della guerra fredda: i partigiani greci, che avevano dato filo da torcere ai nazisti, si trovarono, a guerra mondiale ormai conclusa, a combattere contro gli inglesi, ritenendo la Gran Bretagna la Grecia di sua spettanza nella spartizione dell'Europa. E la guerra, per i Greci, proseguì fin quasi all'anno «santo» 1950. Da allora il paese fu in stato di semi-occupazione e sotto stretta tutela. Quando, dopo quindici anni il vecchio Papandreu, il patriarca della dinastia, giunse al potere scalzando finalmente i governi-sgabello del dopoguerra, la libertà riconquistata durò assai poco. E nell'aprile '67 alla Grecia vennero imposti i colonnelli.

Sappiamo bene quanto limitata fosse per tutti la sovranità in quegli anni, ma solo alla Grecia fu inflitto, per tenerla sotto, un nuovo fascismo. Un grande filologo francese, oggi novantenne, Bertrand Hemmerdinger, espresse molti anni addietro, regnanti ancora i colonnelli, la propria passione per la Grecia definendosi «internazionalista e patriota greco». Non poteva prevedere che ai colonnelli sarebbero subentrati i banchieri.
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 *cit.V.Z.
Cassandro nel 322 a. C. impose alla polis di limitare i suoi diritti
Quando i Macedoni misero Atene sotto tutela
Nonostante l'Europa sia debitrice di quasi tutto ai Greci e alla loro straordinaria civiltà, pochi grandi popoli hanno dovuto subire, nella loro storia, la pratica asfissiante della tutela da parte di altre potenze.

Centottanta anni fa, nel febbraio 1833, la Grecia finalmente «indipendente» si vedeva regalare dal concerto delle grandi potenze europee un sovrano tedesco, per l'esattezza bavarese: Ottone di Wittelsbach, scortato, poiché ancora in minore età, da un consiglio di reggenza tutto formato da bavaresi. Non sappiamo se Angela Merkel conosca la tremenda storia della Grecia moderna: ma certo il precedente la ingolosirebbe non poco. Nonostante l'Europa, a cominciare dagli antichi romani, sia debitrice di quasi tutto ai Greci e alla loro straordinaria civiltà filosofica, scientifica, letteraria ecc. (ma questi debiti per la Bce non contano), pochi grandi popoli hanno dovuto subire, come i Greci, nella loro storia, la pratica asfissiante della tutela da parte di altre potenze. Si potrebbe risalire molto indietro nel tempo, quando, dopo l'ultima insurrezione contro l'egemonia macedone sulla penisola (322 a.C.), agli Ateniesi, promotori dell'insurrezione, fu imposto, dal vincitore Cassandro, di cambiare il loro ordinamento politico e di limitare il diritto di cittadinanza a sole 9000 persone. Alla città che aveva dato vita al "modello democratico" fu imposto allora, dalla grande potenza dominatrice, un ordinamento timocratico, che limitava i diritti politici ai soli benestanti.

La tesi dottorale di Fustel de Coulanges si intitolava: «Polibio, ovvero la Grecia conquistata dai Romani» (1858). Il grande storico francese ricostruiva con efficacia e in modo essenziale quel lungo processo storico onde la Grecia divenne politicamente un satellite di Roma, anche se culturalmente fu Roma a ellenizzarsi. (Perciò fu detto che il vinto aveva acculturato il «feroce vincitore»). La dinamica non fu dissimile da quanto era accaduto centocinquant'anni prima con i Macedoni. Il conflitto sociale era aspro, e i ricchi, per spuntarla, invocarono la protezione della potente macchina militare della repubblica oligarchica per eccellenza: la repubblica romana. Così, la Grecia fu ancora un volta sotto tutela.

E' quello che, scavalcando i millenni, si tenta di fare oggi. Chi oggi, infatti, in Grecia più patirà delle imposizioni della «trimurti» (Ue, Bce, Fmi), sarà la povera gente, non certo i miliardari cosmopoliti. Un dato solo può rendere l'idea: l'assistenza medica è stata di fatto eliminata, ora che ad ogni cittadino greco è garantita fornitura gratuita di medicinali fino ad un massimo di 23 euro l'anno (meno di una medicina a testa per anno).

Il fine è quello di tenere in vita l'euro. Ma ai Greci — come del resto agli Italiani — non fu chiesto per referendum se desiderassero o meno «entrare» nella moneta unica che ormai viene difesa con la forza pubblica e col ricatto. Giunti a questo punto infatti ogni alternativa diventa, a dir poco, traumatica. Ma non dovrebbe sfuggire, che, se è la Germania che fa la voce grossa affinché nessuno dei popoli «discoli», che non ce la fanno più, esca dall'euro, ciò significa che è la sua economia a trarre il maggior vantaggio da questa «fortezza Europa» (come la chiamava il Führer) visto che gran parte delle sue esportazioni è in direzione dell'eurozona. (E un ritorno alle «svalutate» e abrogate monete nazionali ridarebbe alle merci dei Paesi liberati dall'euro non lieve forza concorrenziale). Non sarà facile per nessuno uscire dalla «gabbia d'acciaio», a meno che non sia la Germania stessa a calcolare che non le conviene più tenere serrati i chiavistelli.

Ma torniamo alla Grecia, vittima precipua di questa situazione il cui rimedio viene «spalmato» (come oggi si usa dire) sui prossimi vent'anni. La cattiva coscienza delle potenze europee verso la Grecia si è manifestata in un ampio arco di tempo. L'episodio emblematico dell'insediamento di Ottone era il punto d'arrivo di un ciclo apertosi per lo meno con l'attacco di Bonaparte all'Egitto (1798): colpo non da poco all'impero turco, salutato, allora, come prima tappa per la liberazione della Grecia, stroncato immediatamente dall'Inghilterra con la vittoria di Nelson ad Abukir, salvifica per la «Sublime Porta» ottomana. E quando, vent'anni dopo, esplose l'«Epanastasi», la grande rivolta nazionale dei Greci, se è vero che schiere di europei filogreci accorsero a sostegno, l'elemento decisivo fu alla fine il gioco cinico delle cancellerie europee. Nel secolo seguente, la Grecia sperimentò per prima, e sulla propria pelle, gli effetti devastanti della guerra fredda: i partigiani greci, che avevano dato filo da torcere ai nazisti, si trovarono, a guerra mondiale ormai conclusa, a combattere contro gli inglesi, ritenendo la Gran Bretagna la Grecia di sua spettanza nella spartizione dell'Europa. E la guerra, per i Greci, proseguì fin quasi all'anno «santo» 1950. Da allora il paese fu in stato di semi-occupazione e sotto stretta tutela. Quando, dopo quindici anni il vecchio Papandreu, il patriarca della dinastia, giunse al potere scalzando finalmente i governi-sgabello del dopoguerra, la libertà riconquistata durò assai poco. E nell'aprile '67 alla Grecia vennero imposti i colonnelli.

Sappiamo bene quanto limitata fosse per tutti la sovranità in quegli anni, ma solo alla Grecia fu inflitto, per tenerla sotto, un nuovo fascismo. Un grande filologo francese, oggi novantenne, Bertrand Hemmerdinger, espresse molti anni addietro, regnanti ancora i colonnelli, la propria passione per la Grecia definendosi «internazionalista e patriota greco». Non poteva prevedere che ai colonnelli sarebbero subentrati i banchieri.
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Vi spiego perché la Grecia ha spento la tv pubblica

Lo stesso governo che ha riempito la Ert di raccomandati adesso invoca gli sprechi. Ma il bilancio dell'emittente era in attivo. Hanno pesato di più i servizi "scomodi" sulla crisi.

I nomi del premier greco, Antonis Samaras, del ministro dell’economia, Jannis Stournaras, e del portavoce governativo, Simos Kedikoglou, rimaranno nella storia ellenica perché sono riusciti a fare l’impensabile: hanno staccato la spina alla radio-televisione pubblica. Nemmeno la giunta dei colonelli negli anni Settanta – con i suoi interventi di censura sull’emmittente pubblica – aveva tentato una cosa simile.
La notizia della chiusura dell’Ert (Radio televisione ellenica), paragonabile a un ordigno esplosivo nel campo della libertà di stampa, è arrivata come un fulmine a ciel sereno. Martedì scorso – mentre i giornalisti stavano preparando il notiziario delle ore ventuno, quello più seguito – in redazione è piovuto il comunicato del governo: «In un momento in cui chiediamo grandi sacrifici alla popolazione ellenica non possono esistere realtà intoccabili ed Ert è una situazione dove esistono grandi sacche di opacità e di spreco di denaro pubblico». Negli studi di Agia Paraskevi ad Atene, a Salonicco e nelle venti sedi periferiche, dopo la sorpresa, la reazione è stata rabbiosa.
Non solo perché da un momento all’altro, senza il benché minimo preavviso, questi 2.700 lavoratori della radiotelevisione pubblica venivano licenziati in una maniera brutale. Ma anche perché Simos Kedikoglou, ex giornalista, assunto negli anni Novanta proprio all’Ert grazie alle conoscenze di suo padre, allora parlamentare socialista, aveva garantito fino al giorno prima che era «stufo di smentire le notizie false della chiusura dell’Ert e di eventuali licenziamenti». Oltretutto da qualche anno il bilancio di Ert era passata in attivo, grazie ai tagli degli stipendi e a una riduzione degli sprechi.
Ma il secondo choc doveva ancora arrivare, alle 23.15 di martedì sera. Negli studi non c’erano solo i giornalisti, ma intellettuali, uomini dello spettacolo e della cultura, gente comune, tutti contrari alla decisione del governo. È allora che hanno staccato la spina, per di più grazie a un decreto firmato soltanto dal ministro dell’economia: mancano cioè le firme degli altri ministri competenti, esponenti del partito socialista Pasok e della Sinistra democratica (Dimar), partner minori del governo di coalizione. «Si tratta di un colpo di stato costituzionale», hanno commentato noti professori universitari e sindacalisti.

Nonostante la serrata, tutti i giornalisti e i tecnici hanno espresso la volontà di continuare a trasmettere. Ma si sono trovati di fronte poliziotti in tenuta antisommossa pronti a impedire l’accesso alle antenne dell’Ert. Tre giorni dopo, le proteste continuano massicce. Ieri le Confederazioni generali dei lavoratori nel settore pubblico e quello privato, Adedy e Gsee, hanno scioperato per 24 ore. Lo stesso anche le Associazioni dei giornalisti, mentre migliaia di persone si radunano pacificamente ogni giorno di fronte alle sedi dell’Ert. I programmi ormai autogestiti dell’emittente pubblica continuano ad andare in onda via internet oppure attraverso emittenti comunali e private che hanno offerto le loro lunghezze d’onda ai giornalisti licenziati. Una solidarietà senza precedenti: l’arroganza del potere di Samaras ha mosso la coscienza della maggioranza dei greci, colpiti già dalla crisi, dalla recessione prolungata e da una quantità di promesse non mantenute.
Certo l’Ert, come del resto tutti gli organismi del settore pubblico, ha subìto le conseguenze di anni di clientelismo. L’emittente pubblica greca è stata da sempre la riserva di caccia dei due partiti che guidano il paese da decenni, la Nea Dimokratia e il Pasok. I maggiori scandali sui maxi-stipendi riguardavano proprio quegli “esperti” iscritti ai partiti di governo e assunti direttamente dai ministri per “modernizzare” l’emittente pubblica. La direttrice generale dell’Ert3, per esempio – una giornalista in pensione assunta dai conservatori e rimasta al suo posto anche durante il governo di Georgios Papandreou – ancora dopo l’inizio della crisi guadagnava più di 17mila euro al mese. Altri colleghi, dirigenti e golden boy legati ai partiti, arrivavano a guadagnarne 35mila. Il tutto mentre la stragrande maggioranza dei dipendenti dell’Ert, anche quelli assunti grazie a logiche clientelari, si vedeva ridurre lo stipendio a meno di mille euro per via del memorandum sull’austerità.
Lo stesso Simos Kedikoglou, portavoce del governo e responsabile “politico” della tv pubblica, nell’arco degli ultimi dodici mesi ha fatto assumere diciassette nuovi dirigenti. In altri termini, come fanno notare le associazioni dei giornalisti e il sindacato, «se ci sono stati sprechi e clientelismo l’attuale governo è responsabile almeno quanto i suoi predecessori».
Il dato straordinario è che, nonostante le pressioni e le lamentele dei ministri, la gran parte dei giornalisti dell’Ert aveva continuato a svolgere il proprio lavoro con una professionalità pari o superiore a quella degli altri mezzi di informazione ellenici. Anzi dopo la crisi l’Ert è stata un esempio di pluralismo e un megafono importante sulle conseguenze sociali della crisi, spesso “dimenticate” dai canali privati. Molti dei quali sono di proprietà di interessi economici strettamente legati ai partiti del potere. Non a caso, come fanno notare in questi giorni molti analisti, «chi ha deciso la chiusura dell’Ert fa il gioco dei canali privati».
Per il premier Samaras l’Ert era una spina nel fianco. La sua chiusura, inoltre, è servita a soddisfare la richiesta della troika di licenziare duemila dipendenti pubblici entro l’anno. Dopo il fallimento, pochi giorni fa, della vendita del colosso del gas Depa (Gazprom ha ritirato la sua offerta) e gli ostacoli alle privatizzazioni di altri enti pubblici, Samaras aveva bisogno di presentarsi ai suoi interlocuttori europei e i suoi partner del governo come uomo dal pugno di ferro.
Il portavoce del governo ha precisato che l’emittente riaprirà più avanti con una struttura diversa, più moderna, ma non sarà più di proprietà dello stato e avrà meno lavoratori. Agli attuali 2.700 dipendenti verrà concessa la possibilità di presentare richiesta di assunzione nella nuova organizzazione. Le proteste però non si fermano. Alexis Tsipras, il leader della Coalizione della Sinistra, Syriza, ha parlato di «colpo di stato» di Samaras. Accuse simili dal Pasok e dalla Sinistra democratica. In questo clima non è da escludere neppure una crisi di governo, che porterebbe a elezioni anticipate. E dalla protesta di piazza per la chiusura della tv pubblica si potrebbe passare a una rivolta più generalizzata contro le politiche del governo. Proprio come è successo a piazza Taksim, nella vicinissima Turchia.
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