EUROPA......FINALE DI PARTITA?
CopyLeft: Jacques Sapir
Diplomato IEPP nel 1976, ha sostenuto un terzo ciclo di Dottorato di organizzazione del lavoro in URSS tra il 1920 e il 1940 (EHESS, 1980) e poi un dottorato di ricerca in economia, dedicato ai cicli di investimento nel economia sovietica (Parigi-X, 1986).
Ha insegnato macroeconomia e economia finanziaria presso l'Università di Paris-X Nanterre 1982-1990, e ENSAE (1989-1996) prima di unirsi alla Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales nel 1990. E 'direttore degli studi dal 1996 e dirige il Centro per gli Studi di Industrializzazione metodi (CEMI-EHESS). Ha insegnato anche in russo Scuola Superiore di Economia (1993-2000) e presso la Facoltà di Economia di Mosca dal 2005.
Egli conduce il gruppo di ricerca del IRSES FMSH, e co-organizzato con l'Istituto di previsione dell'economia nazionale (IPEN-ASR) franco-russa seminario sui problemi finanziari e monetari dello sviluppo della Russia.
Il processo definito “costruzione europea”, con la situazione di stallo che si è venuta a creare sulla pianificazione di bilancio dell’Unione europea per gli anni 2014-2020, e in secondo luogo per il bilancio 2013, sta subendo un triplice fallimento: economico, politico e simbolico. La questione simbolica è certamente più importante. Questa situazione di stallo, ben che vada durerà fino all’inizio del 2013, arriva dopo il blocco dell’inizio di questa settimana sulla questione degli aiuti da accordare alla Grecia, e dopo i negoziati estremamente duri relativi alla partecipazione rispettiva degli Stati nell’ambito del gruppo aeronautico EADS, e di conseguenza di una riduzione importante delle ambizioni dell’Europa spaziale. È altamente simbolico che questi avvenimenti si siano succeduti tutti in un periodo di otto giorni. Ciò sta a dimostrare l’esaurimento definitivo dell’Unione europea nell’incarnare l’“idea di Europa”.
Un fallimento economico
La questione del bilancio dell’Unione europea è economicamente importante. Non tanto per le somme in gioco. Il contributo al bilancio dell’Unione europea ha raggiunto l’1,26% del PIL dei differenti paesi. Quindi, per il 2013 sono previsti 138 miliardi di euro. Ma è l’esiguità di questa somma che pone dei problemi. Nel momento in cui l’Eurozona, un sottoinsieme dell’Unione europea (UE), è in recessione, e questa condizione si protrarrà certamente nel 2013 e nel 2014, la logica avrebbe voluto che si fosse raggiunto un accordo su un bilancio di rilancio, sia per promuovere la domanda che per favorire politiche dell’offerta e della competitività in alcuni paesi. Ora, ciò che si è prodotto va esattamente nella direzione contraria. È chiaro che ogni paese tende ad andare in ordine sparso, pur dovendo sottostare alle regole di austerità fiscale, per giunta istituzionalizzate dall’ultimo trattato dell’UE, e questo non è il minore dei paradossi! Gli egoismi vengono a galla da ogni parte e, in incontri come quello tenutosi nella notte fra giovedì 22 e venerdì 23 novembre a Bruxelles, trovano il campo chiuso ideale per i loro confronti e scontri.
Nella situazione attuale, risulta evidente che la recessione non potrà essere combattuta in modo efficace se non da una combinazione di politiche volte a rilanciare la domanda e l’offerta. Queste politiche sono state quantificate. Esse prevedono, solo per la ripresa di competitività, che vengano impiegati nei quattro paesi dell’Europa meridionale (Spagna, Grecia, Italia e Portogallo), circa 257 miliardi di euro l’anno, come è stato stabilito in una nota precedente (1).
Se si volesse essere coerenti, bisognerebbe effettivamente aggiungere almeno 100 miliardi di euro a questa somma per finanziare grandi progetti, permettendo così di armonizzare la competitività fra tutti i paesi. Questa spesa aggiuntiva di 357 miliardi di euro, rispetto ad un budget di circa 138 miliardi, è importante. Ciò implicherebbe che il bilancio verrebbe aumentato dall’1,26% al 4,5%.
In realtà, il problema è ben più complicato.
I 138 miliardi previsti per il bilancio 2013 danno luogo a rimandi, più o meno importanti, per tutti i paesi dell’UE. Sui 357 miliardi che sarebbero necessari da impegnare in più, 257 miliardi sarebberotrasferimenti netti destinati ai quattro paesi del Sud-Europa già citati. E però questi miliardi dovrebbero essere forniti dagli altri Stati, che in buona sostanza non potrebbero essere che la Germania, l’Austria, la Finlandia e l’Olanda. Questo ci porta a concludere che dovrebbe essere la Germania da sola a contribuire per l’ammontare dell’85%-90% di questa somma, il che rappresenterebbe in trasferimenti netti fra l’8,5% e il 9% del suo PIL annuo. Su un periodo di dieci anni si arriverebbe a 3570 miliardi di euro del bilancio totale.
Quando si parla, con la voce in singhiozzo e le lacrime agli occhi, di “federalismo europeo”, è di questo che in realtà si sta parlando, perché senza significativi trasferimenti niente federalismo!
Rispetto a ciò, è da sottolineare che i dirigenti europei non sono riusciti a mettersi d’accordo su una cifra di 978 miliardi di euro da spalmarsi su 7 anni (2014-2020), quando per il medesimo periodo si trattava di 2499 miliardi in più che avrebbero dovuto finanziare. Si misuri l’immensità del compito e la sua impossibilità, nelle attuali circostanze. A questo proposito, questo scacco, probabilmente temporaneo in quanto una soluzione di compromesso non soddisfacente per nessuno e nulla risolvente comunque si troverà entro la fine del gennaio 2013, assume il suo pieno significato.